CINEMA - Note da Venezia 2012
Bella addormentata e Pietà
Due dei film più interessanti della Mostra cinematografica di Venezia trattano in modi differenti la figura materna. Due storie che, grazie alle
straordinarie interpretazioni di Isabelle Huppert e di Gang Do, ci parlano di un diverso modo di guardare alla fede e alle sue manifestazioni, così come alla colpa
nei suoi aspetti insoliti. Due pellicole che aiutano a riflettere e guardare con occhi nuovi la complessità della donna nei suoi multiformi aspetti.
RHO - La figura materna ha avuto un ruolo importante nella storia del cinema fin dagli albori. Già nel 1895, anno di nascita del mezzo, compare
sul grande schermo: è la moglie di uno dei fratelli Lumière, protagonista assieme al coniuge e al figlioletto di una scena di vita quotidiana in Le repas de bèbè.
Una madre è anche usata da raccordo tra i vari episodi di Intolerance di D.W. Griffith: la donna, interpretata da Lilian Gish, dondola la culla del tempo, creando
continuità tra le storie che si svolgono in epoche diverse e sono accomunate da episodi di intolleranza, considerata dal regista una delle cause di rovina della società.
La madre, dunque, come ruolo e come simbolo: non stupisce che con il progredire della settima arte la figura materna assuma sempre più spesso carattere allegorico.
Ed è in questa veste - confermata dall'assenza di nomi propri - che si possono interpretare due dei personaggi più interessanti visti all'ultimo Festival di Venezia: l'una,
Divina Madre (interpretata da Isabelle Huppert), è tra i protagonisti di Bella addormentata; l'altra, la madre di Gang-Do, è la figura centrale di Pietà.
Il film di Bellocchio è costruito sull'intrecciarsi di diversi episodi ambientati in un periodo "caldo" per il nostro Paese: gli ultimi giorni di Eluana Englaro.
La storia che vede al centro il personaggio della Huppert è quella che più si avvicina al fatto di cronaca, dato che Divina Madre ha una figlia come Eluana in stato
vegetativo permanente.
La donna ha abbandonato la brillante carriera di attrice per stare accanto alla giovane.
La fede sembra essere per lei incrollabile pilastro ma è soltanto una facciata: recita, come tante volte aveva fatto in palcoscenico, il ruolo della mater dolorosa
senza provarne realmente i sentimenti.
La vera fede non ha bisogno di declamare il rosario urlando a squarciagola, né di controllare allo specchio la qualità dell'interpretazione.
Bellocchio la trasforma nell'emblema del fanatismo religioso che non ammette diversità di vedute.
Il film di Kim Ki-Duk, vincitore del Leone d'Oro, è invece un revenge movie molto ben costruito, in cui la madre di Gang-Do rappresenta la colpa: da una parte
quella dell'abbandono, che ha fatto crescere il giovane senza una guida e votato alla violenza; dall'altra proprio quella della ferocia con cui Gang-Do agisce nei
confronti dei creditori, che spingono ad una vendetta da consumarsi ai danni della persona a lui più cara, la madre appena ritrovata.
Ki-Duk usa la macchina da presa come i pennelli che sono stati il suo strumento di lavoro agli esordi da pittore bohemien: il risultato è il ritratto di una dolente
Madonna rinascimentale, le cui labbra rosso fuoco - unico tocco di colore che si discosta dai toni freddi e terrosi del resto della pellicola - rimandano
all'iconografia giapponese delle Geishe.
E' lei il personaggio più sorprendente visto alla mostra (ma non svelerò di certo il motivo).
Così diverse, eppure accomunate dal non svelarsi alla prima apparenza. Due personaggi multiformi che rimandano alla complessità che caratterizza il genere femminile.
Due madri che affermano pienamente anche il loro essere donne e non accettano di farsi piegare da nulla.
Siamo ben lontani dalle madri arrendevoli a la Joan Crawford protagonista de Il romanzo di Mildred e più vicini alla vera Joan Crawford interpretata da Faye Dunaway nel
biografico Mammina cara.
In alto nella foto, due immagini tratte dai film "Bella Addormentata" di M. Bellocchio e "Pietà" di Kim Ki-Duk
Roberta Tocchio
(03 ottobre 2012)
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