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TEATRO-DANZA

The Present Tense, la dimensione onirica dell'incomprensione uomo-donna
In scena tre attrici-danzatrici raccontano il dolore e la solitudine dell'universo femminile, nello spettacolo che vede al debutto come coreografo l'attore e regista Silvio Da Rù.

tpt SESTO SAN GIOVANNI - Un appuntamento insolito attende il pubblico del festival: debutta lo spettacolo di teatro-danza The Present Tense, ideato e diretto dall'attore e regista Silvio Da Rù, che ha curato anche le parti coreografiche.
Abbiamo incontrato il regista e gli abbiamo rivolto alcune domande sulla singolarità di questa produzione.

Perché ha deciso di cimentarsi con il teatro-danza?
La scelta di indagare questo linguaggio performativo è nata due anni fa, quando decisi di iniziare lo studio dell'universo femminile.
Una necessità giunta come naturale conseguenza del bisogno di comprendere la donna, accantonando gli stereotipi che a tutt'oggi sono fortissimi.
Lavorando a lungo con le tre interpreti, mi accorsi che il sentire della donna è completamente diverso da quello dell'uomo.
La donna percepisce la vita in modo multiforme, l'uomo, invece, lineare. Per rappresentare questa differenza mi sono avvicinato al linguaggio performativo che mi sembrava più adatto: il teatro-danza.

Come si è trovato a lavorare con tre donne?
Inizialmente il progetto era partito con sei interpreti, ma dopo qualche mese, purtroppo, tre di loro lasciarono il progetto per cause di forza maggiore.
Sono stato fortunato a trovare tre persone che hanno creduto così tanto in questo lavoro.

La parte testuale dello spettacolo è originale o tratta da testi esistenti?
I testi sono stati scritti dalle tre interpreti, secondo precise linee guida drammaturgiche. Il mio compito poi è stato quello di ancorare i testi alla performance.

E le parti coreografiche?
Sono nate dalle proposte delle tre danzatrici su tematiche specifiche. In base all'intento comunicativo dei singoli momenti, decidevo cosa andava tenuto.
Una volta costruite le sequenze, il grande lavoro è stato poi quello di sincronizzare i movimenti, cercando di servire al meglio l'idea di coralità.

Quali sono i punti drammaturgici su cui poggia lo spettacolo?
La vicenda è onirico-simbolica. Tre personaggi femminili, rispettivamente vestiti in bianco, nero e rosso, rappresentano tre universi femminili archetipici: la castità, la passionalità e la forza trasformatrice.
Ognuna ha un oggetto che rappresenta un simbolo: uno specchio per la donna in bianco (la purezza della sua bellezza); un libro di disegni per la donna in nero (la sua creatività); un lenzuolo per la donna in rosso (intimità e morte).
In scena c'è anche un uomo seduto su una sedia, intento a leggere un quotidiano. E' vestito con un completo classico e porta un ombrello, che apre di tanto in tanto. Come per le donne, l'abito, il quotidiano e l'ombrello sono oggetti metaforici che simboleggiano rispettivamente il capitalismo, il controllo del sistema e l'impermeabilità alle emozioni.
Questi personaggi coabitano uno spazio surreale, metafora del mondo inconscio del genere umano, avvicinandosi, allontanandosi, entrando in contatto solo in momenti condizionati, senza mai comprendersi: da qui la profonda solitudine della donna, il suo dolore di vivere in un mondo scandito dalla sola ciclicità dei suoi condizionamenti.

Un lavoro complesso. Si ritiene soddisfatto? E' stata un'esperienza sporadica o tornerà in futuro a cimentarsi ancora con il teatro-danza?
Col senno del poi, non posso che ritenermi soddisfatto. Le condizioni generali di lavoro, rispetto alla difficoltà del tema e del linguaggio, erano proibitive (un solo giorno a settimana per tre ore).
Abbiamo fatto del nostro meglio ed è stata un'esperienza che mi ha fatto scoprire dinamiche importanti che non conoscevo nelle relazioni uomo-donna.
Rispetto al futuro, dico solo che l'indagine sul femminile non si chiude qui, così come la possibilità di approfondire il teatro-danza.
Il quando, il dove, il come e con chi non sono in grado di prevederlo.

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In alto Deborah Barbaglia e Laura Giudici (foto Massimo Cova)


Daniela Bestetti
(23 febbraio 2011)


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