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Poesia e psiche

DOVREMMO INCONTRARCI IN UN'ALTRA VITA, INCONTRARCI NELL'ARIA...
Per me il presente è l'eternità e l'eternità è sempre in movimento, scorre, si dissolve. Questo attimo è vita. E quando passa, muore. Ma non si può ricominciare a ogni nuovo attimo, ci si deve basare su quelli già morti. E' un po' come le sabbie mobili...senza scampo fin dall'inizio. Un racconto, un quadro, possono far rivivere un poco la sensazione, ma mai abbastanza, mai abbastanza. Niente è reale, eccetto il presente, e io mi sento già di soffocare sotto il peso dei secoli.

BRESSO - Tra gli elementi che concorrono a plasmare la personalità di un uomo, l'esperienza ha sicuramente un ruolo fondamentale, tanto che la dimensione psichica non può dirsi mai interamente compiuta, piuttosto sottoposta a suscettibilità, se un qualsiasi accadimento che si collochi al di fuori dei propri contenuti mentali, avrà la possibilità di verificarsi. In questo senso, il trapasso è la naturale conclusione di tale percorso.
Cercare allora di comprendere le strutture che governano la vita, così che una qualsiasi esperienza futura sia, a priori, inquadrabile in una logica di significati, e pertanto non sia destabilizzante, vuol dire eliminare quella suscettibilità e anticipare quella conclusione.
Sembra che Sylvia Plath abbia dedicato la sua intera vita alla costruzione di un sé stabile e definitivo, attraverso lo strumento della scrittura.
"Voglio scrivere perché ho bisogno di eccellere in uno dei mezzi di interpretazione della vita.La scrittura è necessaria alla sopravvivenza del mio spocchioso equilibrio come il pane per il corpo.Ho bisogno di scrivere e di esplorare le profonde miniere dell'esperienza e dell'immaginazione, far uscire le parole che esaminandosi diranno tutto...La vita non ha senso se non la puoi tradurre in versi..."
Una vita sconquassata da dissesti e tensioni psichiche, dove l'ossessione per la scrittura può essere senz'altro inquadrata nella ricerca di una rappresentazione stabile del sé.
Una scrittura in cui il significato della parola tende ad assumere, a seconda dello spazio lirico in cui è immersa, risvolti psicologici ogni volta diversi.
Una scrittura a cui è rivolta un'attenzione quasi maniacale per la ricerca del morfema più adatto al contesto.
"Il vento ha spinto sul mare una luna giallo intenso: una luna bulbosa, che germoglia nel cielo indaco sporco e sparge occhieggianti petali luminosi sulla nera acqua fremente."

"Mi riescono meglio le descrizioni illogiche, sensuali. Testimone la frase qui sopra. Il vento non può assolutamente spingere la luna sul mare.
Inconsciamente, senza parole, nella mia mente ho identificato la luna con un pallone giallo e leggero spinto qua e là dal vento.
La luna, stando al mio umore, non è esile, virginale e argentea, ma pingue, gialla, carnosa, gravida. Questa è la distinzione tra aprile e agosto, tra il mio stato attuale e uno stato fisico che avrò chissà quando.
Ora la luna ha subìto una rapida metamorfosi, resa possibile da vaghe, indeterminate allusioni nella prima riga, ed è diventata un bulbo di tulipano, di croco, di aster, dopodiché arriva la metafora: la luna è "bulbosa", aggettivo che significa pingue ma che, essendo l'immagine visiva di qualcosa di complesso, suggerisce un "bulbo".
Il verbo "germoglia" rafforza la prima allusione a una qualità vegetale della luna.
La frase "cielo indaco sporco" crea una tensione suscettibile di infinite variazioni con qualsiasi combinazione di vocaboli. Invece di dire un'ovvietà come "nel terreno del cielo notturno", l'attributo "sporco" ha un duplice obiettivo: quello di descrivere un cielo blu macchiato e quello di evocare il sostantivo fantasma "terra", che rafforza la metafora della luna come bulbo piantato nel suolo del cielo.
Ogni vocabolo può essere minuziosamente analizzato per quanto riguarda sfumature, valore, calore, freddezza, assonanze e dissonanze di vocali e consonanti.
Suppongo che tecnicamente l'apparenza visibile e il suono dei vocaboli presi a uno a uno assomiglino molto al meccanismo della musica... o al colore e alla grana di un dipinto. Ma, ignorante come sono in questo campo, posso solo tirare a indovinare e fare esperimenti. Però voglio spiegare perché uso vocaboli selezionati uno per uno a ragion veduta, forse fino ad ora non i migliori in assoluto per il mio intento, ma nondimeno scelti dopo molte riflessioni.
Per esempio, il moto incessante delle onde crea lo sfavillio del chiaro di luna. Per restituire il senso di moto discontinuo sono stati usati i participi "occhieggiante" (a suggerire uno staccato di scintille luminose) e "fremente" (a comunicare un movimento più legato e tremulo).
"Luminoso" e "nero" sono ovvie varianti di brillante e scuro. Il mio problema? Non abbastanza libertà di pensiero, freschezza di linguaggio.
Troppi cliché e troppe associazioni forzate, annidati nel subcosciente. Poca originalità.
Troppa cieca adorazione per i poeti moderni e poca analisi e pratica."

Alle profonde crisi depressive, che la portarono più volte a pensare e a compiere il gesto estremo, si alternarono periodi di euforia intensa, tanto che le fu riconosciuta una patologia mentale di tipo bipolare. Un doppio, quindi, due personalità conviventi nello stesso involucro, le cui differenze non potevano che riverberarsi anche nella scrittura. Tipico delle opere della Plath infatti è questo dualismo, questo duplice modo di porsi di fronte alle cose.
Il suo tono varia drasticamente in ogni poesia, e ciò è molto evidente, per esempio, nelle poesie "Tulips" e "You're", incentrate sul tema della maternità.
Esse esprimono fondamentalmente una divisione del sé, mentre cerca di ricomporre i frammenti della propria vita in una nuova compiuta esistenza.
Il diverso atteggiamento di fronte allo stesso soggetto le permette di focalizzarsi non necessariamente sull'espressione di se stessa, ma piuttosto sulla creazione di una nuova identità, rivedendo costantemente gli aspetti del vecchio sé. "Tulips" fornisce una visione molto negativa delle responsabilità che derivano dalla maternità, mentre "You're", all'opposto, rivela una posizione positiva della stessa situazione.
Questa dualità dovrebbe portare alla creazione di un nuovo sé, rivisitando e cambiando profondamente il vecchio.
La scrittura della Plath, quindi contiene costanti cambiamenti di prospettiva che le permettono di procedere in modo da ottenere il suo sé ideale, come un processo sempre in divenire, rivolto alla totale realizzazione di se stessa.
Esprimendo, attraverso la scrittura, diverse identità, rivede continuamente se stessa, fino a cercare di raggiungere la perfezione.
Il fatto di essere consapevole e di esprimere questa molteplicità non è tanto il risultato delle sue difficoltà, quanto un tentativo di trascenderle, il desiderio di esplorare tutte le parti del suo sé attuale, con l'obiettivo di avvicinarsi ad una versione idealizzata di se stessa.
La sua poesia, i suoi processi creativi tendono alla trascendenza, tanto quanto lei cerca di nascere nuovamente.
"La creatività è vista non solo come veicolo di espressione del sé, ma anche come veicolo di scoperta del sé."
Ma quando lo strumento della scrittura non assolve questo compito, come nessuno strumento d'altra parte, quando la dimensione psichica non può raggiungere la stabilità e l'idealità allora non c'è che un solo modo per porre fine a questo continuo processo di revisione.
"Come un gatto ho nove vite da morire. Questa è la numero tre. La prima volta successe che avevo dieci anni. Fu un incidente. Ma la seconda volta ero decisa a insistere, a non recedere assolutamente. Mi dondolavo chiusa come conchiglia. Dovettero chiamare e chiamare e staccarmi via i vermi come perle appiccicose.
Morire è un arte, come ogni altra cosa. Io lo faccio in un modo eccezionale. Io lo faccio che sembra come un inferno. Io lo faccio che sembra reale.
Ammetterete che ho la vocazione."

L'11 febbraio 1963, a soli 31 anni, Sylvia prepara fette di pane imburrato per i figli, mette al sicuro i suoi piccoli, sigilla le porte e le finestre della loro camera con del nastro adesivo, scrive l'ultima poesia, apre il gas, infila la testa nel forno e si toglie la vita.
Eppure, il riferimento costante alla morte, tema molto ricorrente nelle sue opere, può essere inteso come tentativo di banalizzare, di esorcizzare tale evento, il bisogno di parlarne così tanto e apertamente rappresenta in realtà il desiderio di vivere e l'amore per la vita.
"Per me il presente è l'eternità e l'eternità è sempre in movimento, scorre, si dissolve. Questo attimo è vita. E quando passa, muore. Ma non si può ricominciare a ogni nuovo attimo, ci si deve basare su quelli già morti. E' un po' come le sabbie mobili.senza scampo fin dall'inizio.
Un racconto, un quadro, possono far rivivere un poco la sensazione, ma mai abbastanza, mai abbastanza.
Niente è reale, eccetto il presente, e io mi sento già di soffocare sotto il peso dei secoli. Un centinaio di anni fa una ragazza ha vissuto come vivo io. Poi è morta.
Io sono il presente, ma so che anch'io me ne andrò. L'istante sublime, la fiamma che consuma arriva e subito scompare: sabbie mobili, sempre. E io non voglio morire".


La foto in alto è tratta dal sito www.poetrygrrrl.com

Pietro Luciano Belcastro
(15 gennaio 2013)



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