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POESIA

Il sussurro dell'invisibile
Dal momento in cui viene al mondo e comincia a fare esperienza, ogni uomo, reca con sé l'antica necessità che contraddistinse i grandi poeti: dar voce al mondo invisibile dei sentimenti.

Belcastro BRESSO - Volendo definirla con una sola parola possiamo dire che oggi la poesia è sostanzialmente "lirica", laddove per "lirica" si intende l'espressione di sentimenti soggettivi.
Il "lirismo" pertanto è una concezione linguistica attraverso la quale il soggetto cerca di definire se stesso, in rapporto alle esperienze e agli oggetti dell'esperienze, con l'uso delle parole. Eppure, nel corso della storia, anche il "lirismo" ha subito della trasformazioni.
Dalle forme chiuse e da una poetica tendente a riprodurre fedelmente il mondo, si è passati, con il romanticismo, alle forme libere e ad una poetica in cui il soggetto è la misura del mondo.
Il mondo non è oggettivo ma è quello che si percepisce. Così un oggetto non può fregiarsi dell'attributo di esistenza fin quando non viene percepito da qualcuno.
In sostanza, non esiste una realtà ma i tanti modi in cui questa realtà viene percepita, talora trascendendo anche nell'immaginario.
Se oggi possiamo definirla tale, allora, al contrario di quanto si potrebbe pensare, la poesia o meglio il poetare, nella sua fase di germinazione, non è prerogativa del poeta.
Dal momento in cui viene al mondo ed inevitabilmente comincia a fare esperienza, ogni uomo, seppure in modo grezzo, reca con sé questa facoltà.
Quando un qualsiasi uomo dà voce, dà forma alle sue emozioni e ai suoi sentimenti, egli fa indiscutibilmente poesia.
Ciò è vero al punto che anche un semplice gesto può definirsi tale. Non è forse poesia una carezza dispensata all'amata sotto un cielo stellato?
E non è poesia, forse l'unica, ascoltare in silenzio la natura e sentire le emozioni che ti suscita, senza dire parola?
Di fatto, la poesia è dare voce e forma all'interiorità e alle cose che la suscitano e che giacciono in silenzio fin quando non vengono colte da qualcuno.
Sollevandosi appena dal sensibile, la poesia diviene la più immediata tra le forme espressive; nascendo da quel livello di rappresentazione della realtà che viene appena dopo l'istinto, il suo dire è, in un certo senso, evocazione di quelle cose che sono all'origine del sentire, le quali giacciono nel silenzio o, quantomeno, qualora fossero parole, giacciono silenziose in grembo prima che in altro modo vivano.
Grazie al sentire, la poesia dà voce al silenzio delle cose; altro non è la poesia che il "sussurro del silenzio".
Pensiamo alla ginestra, immota e silenziosa, e a Leopardi che facendone esperienza le dà vita e dà vita a tutte quante le emozioni, a tutti quanti i pensieri che vengono suscitati da quella stessa esperienza.
A questo punto verrebbe da dire che non esiste differenza tra poeti e non poeti.
In parte ciò è vero, nel senso che le dinamiche che portano a percepire le cose, a sentirle, a creare emozioni e a proferirle sono le stesse.
E tuttavia il testo poetico non è fatto solo da quello che si dice, ma soprattutto da come si dice.
E' quella particolare forma e non un'altra che ne costituisce la fattezza e ne conferisce quel particolare significato.
Il poeta sa che una pausa, un verso che va a capo in quel punto e non in un altro, determinati aggettivi o sostantivi, l'inversione sintattica, la rima, le ripetizioni, le assonanze conferiscono alla poesia un particolare significato e una certa sonorità, ma sa anche che il testo poetico è fatto di significanti e non di significati, e che per questo il significato si apre al lettore in modo soggettivo e non assoluto.
La parola poetica si pone al confine; essa nel trasmettere un mondo e le sue emozioni lascia libera l'interpretazione, originando così un mondo altro ed emozioni altre.
La poesia è costituita da una parte formale e da una emotiva, non è solo oggetto verbale, fatto di ritmo, di cadenze, di ripetizioni, di immagini, di sonorità, ma è anche oggetto estetico, deve poter suscitare, cioè, il sentimento del sublime, del bello, deve poter commuovere o rasserenare, insomma deve poter suscitare emozioni.
E dunque siamo tutti poeti, almeno nell'anima e nel cercare di esternarne i movimenti, esplicazione naturale e spontanea, quale reclama l'esistenza.
Ma avviene che qualcuno, mosso da una sconosciuta pulsione, deve necessariamente scrivere della propria anima, e solo in ultimo per il semplice piacere.
Ancora prima di avere questo fine, la poesia, così come ogni opera creativa, è affermazione dell'identità, sbandieramento dell'esistenza, manifestazione dell'essere, appendice strutturata di quel movimento spontaneo che porta l'uomo a parlare dei movimenti dell'anima, e pertanto ogni poesia ha in sé l'anima del poeta, è piena dello spirito che esso vi infonde nel plasmarne la forma.
Ogni attività estetica poi nasconde quel desiderio, quella pulsione verso l'infinito che ogni uomo, seppur inconsciamente, porta con sé.
Nell'oggetto estetico, del tutto o quasi inconsapevolmente, l'uomo cerca di risolvere la finitezza della propria natura in qualcosa d'imperituro, di eterno.
Ma ogni poesia reca con sé anche un bisogno di primaria necessità, comune e pienamente cosciente per tutti gli uomini: quello della comprensione altrui.
E tuttavia la comprensione altrui non può mai compiersi pienamente ed ecco che la poesia diventa una sorta di alter ego che il poeta usa per liberarsi e per sfogarsi.
Nella poesia il poeta diventa l'altro, colui che lo può capire profondamente, che sa compiangerlo senza suscitare in lui vergogna; chi infatti meglio di noi stessi può capirci? E rileggendola il poeta si compiace e si sente in un certo senso sollevato da ciò che lo opprime.


In alto Pietro Luciano Belcastro (foto Massimo Cova)


Pietro Luciano Belcastro
(15 gennaio 2011)


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