FOTOGRAFIA - Sguardi al passato
La fotografia nel melodramma: Senso
Nella costruzione fotografica di ogni scena del film, basata su profonde conoscenze pittoriche dell'epoca, il grande regista italiano
ci fa rivivere l'Ottocento come se ci trovassimo davanti al melodramma e, senza utilizzare il fermo immagine, ci permette di coglierne la melodica eleganza.
RHO - Chissà se Luchino Visconti fosse consapevole della difficoltà di trasporre il melodramma in fotografia, dove il sonoro, principale
punto di forza, scompare.
Il regista non ha mai accennato a questo punto e neanche sappiamo se durante le fasi di lavorazione e le riprese del film "Senso" abbia
mai sbirciato la scena direttamente dalla macchina da presa. E ammettendo pure che l'abbia fatto, le parole di Albert Szent-Györgyi ci aiutano
capire la grandezza di questo personaggio: "Scoprire significa vedere quello che tutti hanno visto e pensare quello che nessuno ha pensato".
Visconti si affidò in prima istanza alla fotografia di G.R. Aldo (Graziati Rossano Aldo), mente brillante e creativa della fase neorealista, che nella sua
carriera aveva anche collaborato con Orson Welles.
Grande sperimentatore, creò stati d'animo e atmosfere profonde nelle inquadrature attraverso l'uso magistrale del colore. A causa della sua prematura morte
fu sostituito in corsa dall'australiano Robert Krasker, già vincitore di un Oscar.
Sicuramente quest'ultimo non soddisfò completamente il regista, che per ripetere la scena finale della fucilazione, preferì la fotografia di Giuseppe Rotunno, che
nonostante fosse giovanissimo e solo un operatore di macchina, aveva già maturato un'interessante esperienza prima come fotografo di scena, poi come
assistente di Renoir ed infine nell'uso del colore con il nuovo sistema Technicolor.
Solo un attento e profondo conoscitore dell'opera lirica e del teatro come Visconti poteva cimentarsi in un'impresa tanto rischiosa, dove l'erudizione
non basta e, se non sostenuta dal fuoco della passione, l'azzardo avrebbe potuto rivelarsi un esperimento didattico e fallimentare.
La famiglia disponeva di un palco alla Scala, che Visconti frequentava regolarmente fin dalla sua giovinezza e questo gli permise di condurci ad una visone unica, da
un punto di vista privilegiato, orientata dalla fiamma scaturita da un'interpretazione di Maria Callas.
In ogni scena del film respiriamo il melodramma, l'Ottocento, ricreato attraverso la fotografia in base alle sue conoscenze pittoriche, senza mai cadere
nella citazione o nel plagio.
Ogni istante possiede i tempi del melodramma, di cui cogliamo la melodica eleganza senza l'utilizzo del fermo immagine. Forse solo osservando le ultime
sale di Brera, a noi ora pienamente disponibili, possiamo immergerci in quel clima, nei personaggi e nei fatti di un'epoca così importanti per la nascita di una Nazione.
Visconti per il suo credo politico, nonostante appartenesse alla nobiltà, era illuminato e mai aristocratico, desideroso anche di trasmettere la sua sensibilità ad
un pubblico popolare, troppo spesso impossibilitato a godere di tali magnifiche espressioni quali erano il teatro e la pittura, progenitrice della fotografia.
L'immagine della contessa Livia nasce dall'osservazione delle opere di Stevens, pittore cresciuto in ambito impressionista e precursore del realismo, capace di
cogliere la grazia femminile dell'epoca, che nella pellicola si distingue per eleganza anche per merito dei costumisti, sapientemente diretti dal regista milanese.
Le opere di Fattori, di Signorini, di Lega e di qualche vedutista veneziano hanno certamente ispirato Visconti e i suoi direttori della fotografia nella costruzione
di quelle immagini, ma il colpo di scena, come in ogni melodramma che si rispetti, è in agguato...
Il tradimento, non solo della causa del Risorgimento, ma soprattutto nell'uso fatto del bacio del fuggitivo. Qui intuiamo il capolavoro di Hayez, ma, orrore, non
un patriota bensì un invasore nei panni di un fuggitivo, che imperterrito ha impunemente e spavaldamente violato la buona fede della contessa Livia.
Visconti pagò l'ostracismo di alcuni ambienti culturali nei confronti della sua visione artistica, i quali gli fecero cambiare il titolo e il finale, dove la
fucilazione nel forte di Verona riporta a fatti più nostrani che non all'opera di Goya.
L'Italia usciva devastata e vinta dalla seconda guerra mondiale e non si poteva menzionare una sconfitta come quella di Custoza. Non paghi, premiarono alla
Mostra del Cinema di Venezia del 1954 il film di Renato Castellani "Romeo e Giulietta" con il Leone d'Oro, pellicola il cui direttore della fotografia, quasi per beffa,
fu proprio Robert Krasker.
Con il valido aiuto di Aldo, Krasker e Rotunno, Luchino Visconti costruì la fotografia dell'opera che, a pieno titolo, può considerarsi il massimo
risultato della fotografia del melodramma, ponendo le basi per "Il Gattopardo", altro capolavoro fotografico che di lì a poco avrebbe realizzato.
In alto nella foto Alida Valli e Farley Granger in una scena di "Senso" regia Luchino Visconti.
Massimo Cova
(6 febbraio 2012)
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