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DANZA

Paola Lattanzi. Un sistema infallibile di riflessi
Assimilare la tecnica per renderla invisibile; costruire un corpo talmente reattivo e pronto da permettere una mente libera e in ascolto; liberarsi dalla forma fine a se stessa e dalla paura dell'errore. Restare umani in uno stato di presenza vera e necessaria.


MILANO - Esile, forte, incisiva, scattante: una presenza che catalizza l'attenzione. Una personalità che trasferisce l'importanza della necessità di esserci in scena anche quando firma i suoi lavori coreografici, affidandone l'interpretazione ad altri danzatori. E' Paola Lattanzi, danzatrice, coreografa e interprete storica degli spettacoli di Enzo Cosimi.

Quali esperienze hanno segnato e influenzato la tua scelta di dedicarti alla danza? Quali sono state le tappe più significative del tuo percorso artistico e come si è evoluto nel tempo?
P.L.:
Mi sono formata in Olanda alla Theater School(dipartimento SNDO di coreografia) alla fine degli anni '90, gli anni della "new dance". Ho avuto la fortuna di studiare con grandi maestri come Katie Duck, Steve Paxton, David Zambrano. All'epoca ci definivamo "movers". Totalmente ossessionati dai concetti di spazio, tempo, qualità, dinamiche, metodi di improvvisazione, real time composition e tanta, tantissima "movement exploration". Quasi per caso, durante una vacanza in Italia, ho fatto l'audizione con Enzo Cosimi. Un altro mondo: lui chiedeva tutt'altro tipo di presenza. Subito ho capito che lì potevo crescere; negli anni ho imparato ad integrare i miei studi nel suo mondo, scoprendo che non erano tanto distanti. Quello che Cosimi indaga è una presenza che definirei "erotica". Ha a che fare con la manipolazione del tempo del desiderio. Inteso come alternanza di tensione-climax/rilassamento-quiete, ciò vale sia nella composizione dell'intero spettacolo, sia nel ritmo interno di ogni singolo gesto o movimento, e si traduce in una precisa attenzione al lavoro muscolare, nervoso.

I tuoi progetti hanno una forte connotazione fisica, segnati dal corpo inteso soprattutto come necessità e qualità della presenza scenica. Che cosa ti interessa indagare con il linguaggio del corpo?
P.L.:
Copeau diceva che esiste un corpo obbediente in quanto abituato ad obbedire e un corpo obbediente perché pronto ad obbedire. Sia come coreografa che come performer, mi interessa costruire un sistema infallibile di riflessi che ti permetta di avere la mente libera e in ascolto. Il corpo, pur nell'immobilità, deve poter contenere potenzialmente varie forme di energia, pronto a scattare in una corsa o rimanere in un lungo equilibrio e non sono ammesse imitazioni. Dobbiamo assimilare la tecnica e renderla invisibile, in scena dobbiamo restare umani, liberarci dalle forme fine a se stesse e dalla paura dell'errore. Se la presenza è vera, l'azione non è mai sbagliata, ma, appunto, necessaria.

Come danzatrice, che cosa chiedi a te stessa quando vai in scena? Come coreografa, che cosa chiedi ai danzatori con cui stai lavorando?
P.L.:
Io credo molto nel viaggio. Bisogna costruire la struttura il prima possibile, e attraversarla due o più volte al giorno durante le prove. Solo così riesco a intuire quale tipo di presenza sia richiesta in quell'esatto momento. In scena ci si deve stancare, per vibrare il corpo deve sempre essere impegnato con un lavoro, con un focus: il peso, l'equilibrio, l'assetto della colonna, lo sguardo. E poi c'è il respiro, ogni emozione ha il suo respiro, bisogna saperlo scegliere bene, altrimenti non si realizza l'empatia con il pubblico, che credo sia la missione del performer.

Paola artista, Paola donna e madre di due splendidi bambini: come riesci a conciliare i tuoi impegni e la tua dedizione su entrambi i fronti? Nella tua esperienza, esistono di fatto le stesse opportunità e il medesimo rispetto nei confronti della figura femminile in ambito professionale?
P.L.:
E' inconfutabile che la nostra sia una società maschilista, abbiamo secoli di storia, stratificazioni culturali e linguistiche consapevoli o meno da abbattere. Legalmente abbiamo gli stessi diritti degli uomini da pochi decenni, solo negli anni '80 è stato abrogato l'orrendo delitto d'onore. A nessuno verrebbe in mente di porre questa stessa domanda ad un artista padre. Marina Abramovic ha esaltato i suoi tre aborti, sostenendo che i figli siano un o stacolo alla carriera. Per me ascoltare le esigenze dei figli, accudirli, ha procurato il focus che mancava quando tutto era ancora possibile. Maternità e carriera artistica sono esperienze totalizzanti, che si nutrono l'una dell'altra. Durante entrambi i travagli (ma del primo ho una consapevolezza più lucida perché ero più in forze e sentivo tutta l'energia che possedevo canalizzata nella potenza di quell'evento), sentivo che i miei "confini" dovevano allargarsi, dovevo lasciarmi invadere dal fluire regolare di dolore pervasivo e quiete rassicurante. Questo "movimento" attivo e integrato di corpo e mente conteneva le mie emozioni che fluttuavano dall'incredulità, al timore, alla gioia. Occorre integrare il dolore nella propria esperienza, con la consapevolezza che si tratta di un dolore canalizzato, finalizzato; mentre, invece, siamo sempre più abituati a liberarcene al più presto, a cercare di evitarlo il più possibile. Non si può mai stare male. Questo è limitante e non offre nessuna ispirazione.

Per avvicinarci a un tema di grande attualità, "l'Occidente e le altre culture: viaggio ai confini della diversità". Che cosa significa "confine" per Paola? Nell'arte come nella vita, può la diversità costituire realmente un valore e, se sì, che cosa implica?
P.L.:
La vitalità di un sistema dipende, in primo luogo, dalla sua diversità. Le nuove idee sono essenziali, e spesso le nuove idee sono tali solo perché non le conosciamo, e non le conosciamo perché sono le idee degli altri, e quindi non rientrano nel ristretto perimetro della nostra conoscenza. Porre dei confini all'arte è come recintare l'universo: un'operazione inutile quanto impossibile. Mi piace concludere con una citazione di Giuseppe Pontiggia: "Abituarsi alla diversità dei normali è più difficile che abituarsi alla diversità dei diversi", perché ribalta il concetto di normalità, relativizzandolo.

Grazie, Paola.

Paola Lattanzi è danzatrice e coreografa. Laureata alla Amsterdam University of the Arts in Coreografia (SNDO School for New Dance Development), si forma con maestri quali David Zambrano, Katie Duck, Kurt Koegel, Lisa Nelson, Nancy Stark Smith, Daniel Lepkoff, Steve Paxton. Dal 2002 collabora con la Compagnia Enzo Cosimi e nel 2014 l'assolo Sopra di me il diluvio vince il Premio Danza e Danza come miglior spettacolo italiano. Nel 2015 vince il Premio Tersicore come migliore interprete contemporanea. Il suo primo lavoro da autrice viene presentato ad Amsterdam IT's Festival nel 2003 e da allora si dedica alla coreografia e alla formazione. I suoi lavori sono stati presentati in vari festival di danza in Italia e all'estero.
Dal 2005 al 2007 è ideatrice, organizzatrice e direttrice del festival Il pozzo dei desideri, rassegna di arti performative nel pozzo di San Patrizio ad Orvieto (patrocinata da Sistema Museo). Dal 2007 al 2012 realizza le coreografie Barocco, Kindur e Babayaga per la compagnia di teatrodanza per ragazzi TPO con le quali la compagnia vince il Premio Feten 2010 - Premio especial del jurado a las nuevas propuestas escénicas (Gjon, ES) e il Premio New England Foundation for the Arts, National Dance Project / US Tour 2010 (Boston, USA). Dal 2014 è docente presso la Civica Paolo Grassi, corso Teatrodanza coordinato da Marinella Guatterini.

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Tutte le foto pubblicate in questo articolo sono di Compagnia Enzo Cosimi © Focusart Tifotografo, appartenenti nell'ordine agli spettacoli "Sopra di me il diluvio" (Biennale di Venezia) e "Fear Party" (Civitanova in Danza).

Daniela Bestetti

(28 giugno 2017)



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