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Musica e Cinema

Il tocco musicale dell'immagine
Da Il cantante di Jazz a La canzone di Brodway, da Il principe consorte a Il mago di Oz, fino a giungere ai musical più recenti: da sempre musica e cinema sono stati indissolubilmente legati. Un connubio magico, emozionante che ha coinvolto milioni di spettatori trasportandoli nel regno della fantasia e dell'incanto. Un genere che nel corso della seconda parte del XX secolo ha visto un progressivo declino, per poi riprendersi nei primi anni del Duemila, con i grandi successi di Moulin Rouge, Chicago e del recentissimo The Artist, a riprova che il pubblico non ha mai smesso di sognare.

RHO - Musica e cinema sono due mondi indissolubilmente legati fin dagli inizi della Settima Arte: persino all'epoca del muto i film erano forniti di una colonna sonora live ad opera di un pianista e, per i teatri più ricchi, addirittura di un'orchestra.
Il 6 ottobre 1927 esce nelle sale statunitensi Il cantante di jazz, film che segna la nascita del cinema sonoro ma che di sonoro ha principalmente le parti melodiche: se il parlato si riduce a poche battute (e molto è lasciato alle didascalie), alle sequenze cantate e musicate è dato ampio spazio, ben 9 canzoni!
L'impianto teatrale, che aveva portato al successo grandi dive italiane come Francesca Bertini e Lyda Borelli, venne soppiantato da quello musicale.
Alla fine degli anni Venti inizia infatti la golden age dei musical, che dopo il già citato film con Al Jolson raggiunge la vetta del premio Oscar come miglior film con La canzone di Broadway, il primo lungometraggio completamente sonoro oltre che "tutto ballato, tutto cantato" (come recita lo stesso cartellone).
Spicca tra le altre, tanto da ricevere una candidatura come miglior attrice, l'interpretazione di Bessie Love, tra gli ultimi baluardi dell'era del muto - aveva lavorato tra gli altri con Griffith e Douglas Fairbanks - che scompare ben presto dagli onori della cronaca.
Non scompare affatto invece il tedesco naturalizzato statunitense Ernst Lubitsch, che sfrutta il sonoro a suo vantaggio dando vita a quello che Billy Wilder definì il "Lubitsch touch": un insieme di malizia e ironia che permea la sua commedia sofisticata.
Nel 1929 anche il regista di origini europee si lascia sedurre dalla commedia musicale, realizzando Il principe consorte: il talento della protagonista Jeanette MacDonald (e del partner francese Maurice Chevalier) è esaltato dalla brillante regia che la lancia nel firmamento hollywoodiano dove giungerà quasi a rivaleggiare con Ginger Rogers quanto a notorietà.
Connazionale del cineasta teutonico è invece una delle icone del XX secolo, la femme fatale per antonomasia: Marlene Dietrich.
Diplomatasi cantante all'Accademia di Berlino, Maria Magdalene (Marlene) iniziò calcando i palcoscenici dei teatri di Berlino, fino ad ottenere piccole parti nel cinema muto.
Il 1929 è per lei un anno chiave: non solo gira il suo primo film da protagonista, Enigma, ma firma anche il contratto per la pellicola che la consacrerà nel panorama cinematografico mondiale, L'angelo azzurro di Josef von Sternberg. Grazie a quest'opera, girata in tedesco e inglese, l'attrice viene messa sotto contratto dalla Paramount, dove diviene l'emblema del cinema degli anni Trenta contrapponendo la sua immagine a quella della "divina" Greta Garbo, star della MGM.
La Dietrich aveva però una marcia in più della collega scandinava: una voce roca e sensuale che, unita all'accento marcatamente teutonico e al fascino androgino, ne fece la protagonista dell'immaginario erotico degli uomini del tempo.
Regina incontrastata del musical anni Quaranta fu Judy Garland, che grazie al suo viso dolce e all'aspetto adolescenziale riuscì ad accaparrarsi (soffiandola a Shirley Temple) la parte della protagonista Dorothy ne Il mago di Oz, diretto nel 1939 da Victor Fleming.
Sulle note di "Over the Rainbow" conquistò il pubblico e grazie al film Incontriamoci a Saint Louis anche un buon partito: il regista Vincente Minnelli, da cui avrà una talentuosa bambina, la futura diva del musical anni Settanta Liza.
L'immagine più significativa del musical anni Cinquanta è legata a una vera icona, un vestito e una canzone: è Marilyn, inguainata in un roseo tubino mentre circondata di damerini canta "Diamonds Are a Girl's Best Friends", una delle canzoni simbolo di Gli uomini preferiscono le bionde, in cui la diva era affiancata da un'altra grande attrice, Jane Russel.
Gli anni Sessanta, dopo i grandi successi di West Side Story e Tutti insieme appassionatamente, segnano un progressivo (seppur non totale) declino del genere, che si riprenderà soltanto nei primi anni Duemila grazie al successo di film come Moulin Rouge! di Baz Luhrmann e Chicago di Rob Marshall.
Dopo che registi come John Turturro (Romance & Cigarettes), Tim Burton (Sweeney Todd: il diabolico barbiere di Fleet Street) e persino la shakespeariana Julie Taymor (Across the Universe) si sono cimentati nel genere, il musical ha subito una parziale battuta di arresto.
O forse un ritorno alle origini, dato che il film più celebrato dell'anno cinematografico, The Artist, altro non è che un classico film muto con accompagnamento musicale e tanto di scena di tip-tap finale degna di Fred & Ginger.
Il musical è morto, viva il musical!


In alto nella foto, immagine tratta dal film "Moulin Rouge!" Di Baz Luhrmann

Roberta Tocchio
(09 luglio 2012)


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