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Incontro con Julie Anne Stanzak. Parte seconda.
Danzatrice storica del Tanztheater Wuppertal, Julie Anne Stanzak racconta in una lunga intervista divisa in due parti la propria esperienza artistica e umana con Pina Bausch, il presente con la Compagnia, l'esperienza con Dimitris Papaioannou, il proprio futuro.
      

WUPPERTAL - Aristocratica, statuaria, di una bellezza senza tempo. Due occhi verdi e profondi che si piantano nell'interlocutore. Un flusso energetico continuo e dirompente, che passa dalla determinazione granitica alla delicatezza struggente. E' Julie Anne Stanzak, storica danzatrice del Tanztheater Wuppertal di Pina Bausch dal 1986.
Quando capita di incontrare di persona o di testimoniare il processo di lavoro degli artisti di cui conservi un ricordo indelebile degli spettacoli a cui hanno preso parte, una specie di timore reverenziale misto a paura ti assale. Rispetto, entusiasmo, gratitudine da un lato; paura di rimanere delusi dall'incontro umano e dal "dietro le quinte" dall'altro. Friedrich Nietzsche scriveva: "Guardatevi dall'avvicinare troppo un mito: potrebbe cadervi in testa una statua!". E aveva ragione, perché troppo spesso è così. Ma ho voluto correre questo rischio, incontrando Julie Stanzak proprio a Wuppertal, nel suo mondo e nella sua casa, in occasione della rimessa in scena di 1980. Ein Stück von Pina Bausch. Sono stupita dalla semplicità con cui questa straordinaria danzatrice si è lasciata avvicinare: un incontro speciale fatto di grande umanità, forza, fragilità, passione, maestria, dedizione, grandi domande, grandi risposte che aprono altre domande... Un processo costante e un'energia inesauribile, dai cui gesti e dalle cui parole sono emerse dimensioni, ricordi, immagini e riflessioni che riportiamo in una lunga intervista, divisa in due parti: la prima parte è dedicata all'esperienza artistica e umana con Pina Bausch; la seconda parte al "dopo Pina", al presente e al futuro di Julie.

Uno degli aspetti stupefacenti del Tanztheater Wuppertal consiste nel mantenere intatto il repertorio delle coreografie originali di Pina Bausch e nel tramandare i ruoli attraverso nuove generazioni di danzatori, che via via vanno a sostituire gli interpreti storici delle pièce. Come affrontate la rimessa in scena di uno spettacolo?
J.A.S:
Video, video, video e un incredibile libro drammaturgico per ogni pièce. In questo libro sono riportati gli scritti di Pina e di coloro che erano particolarmente vicini alla creazione originale. E poi ci sono le nostre annotazioni. Ad esempio, io ho scritto fin da subito il mio ruolo in 1980, che è esattamente quello che faccio in scena: il lato da cui entro, qual è il sentimento, quanto sono entusiasta, la traiettoria della diagonale che percorro. Perché se guardi bene e vedi la struttura di una pièce è tutto incredibilmente calcolato. Come il caos in Viktor, ad esempio, è un caos calcolato. Quella scena incredibile, in cui le persone cercano di attraversare il palco senza toccare il pavimento e allora camminano sulla carta, sul legno, sulle sedie, portandosi l'un l'altro nel panico con una musica pazzesca. Come può funzionare tutto questo?
Calcolandolo perfettamente!
Tutte queste cose sono trasmesse attraverso accurate annotazioni, il video e soprattutto la grande dedizione dei membri della compagnia di più lunga data. Sulla base di ciò che abbiamo vissuto con Pina e la verità di quella leggenda, perlomeno nel mio caso, vivono in me una lealtà, una dedizione, un impegno e una responsabilità. Pina chiama a questa responsabilità, per cui cerco di fare del mio meglio ed essere il più completa possibile.
Guardiamo i video girati in anni differenti e li confrontiamo, ma soprattutto utilizziamo l'ultimo video approvato da Pina di ogni pièce. Nel caso di 1980, il video è quello del 2008, l'ultimo fatto quando Pina era ancora presente in platea a guardare e criticare.

Come sei entrata nel Tanztheater Wuppertal?
J.A.S:
Ho fatto l'audizione con Pina Bausch a NYC, durante un anno sabbatico che mi ero presa dal Dutch National Ballet. Era il 1986. La sua prima domanda fu: "Pensi davvero di poter vivere a Wuppertal? Non è una città in cui si possa fare qualcosa di domenica...".
E questa domanda, questa osservazione non era affatto casuale. Credo le fosse chiaro da dove venivo, quale fosse la mia cultura, il mio ambiente, il mio ceto sociale, la mia formazione, le mie abitudini e sostenere nel tempo la decisione di trasferirmi a Wuppertal non era certo facile. Perché ogni giorno era lungo: ti svegli alle 8, hai una classe alle 10, prove dalle 11.30 alle 14.30, torni a casa, ritorni alle 18 e finisci tardi la notte. E quando esci magari è febbraio, è grigio e piove a Barmen (il quartiere di Wuppertal dove lavoriamo). Oh my god!
Cosa si può fare di domenica a Wuppertal? Lavorare. Lavorare sulle domande emerse nel processo di lavoro con Pina del sabato e tornare pronti il lunedì. Pronti. Perché Pina era così: non ho mai conosciuto nessuno che lavorasse come lei, intensamente e continuamente come lei. Era il suo modo di costruire gli spettacoli: andare sempre a casa con 4 o 5 domande aperte per volta e magari essere riusciti a produrre qualcosa di buono per 2 o 3 soltanto. Naturalmente eravamo professionisti, che cercavano di costruire una nuova produzione, non si trattava certo di una terapia di gruppo. Ma dovevi essere talmente professionista da capire anche che, nonostante il materiale fosse tuo e intimo, una volta messo in palco lì doveva stare e raccontare dentro le regole di quell'ambito. Alla fine di tutta questa ricerca restava quell'unica cosa che Pina teneva. Senza se e senza ma.
Se sei disposto a tutto questo, se sai rinnovare nel tempo questo rigore, allora benvenuto a Wuppertal!

Da dove attingi, che cosa rappresenta per te oggi andare in scena con un lavoro creato quasi 40 anni fa, come 1980. Ein Stück von Pina Bausch?
J.A.S:
Da un lato non smetto mai di chiedermi perché faccio quello che faccio. "Qual è l'intenzione, Julie, il modo in cui fai quello che fai? Questo performare, condividere ed essere, che però è anche intrattenimento e business - perché non è tutto così sacro... - come lo giustifichi?". E' uno spettacolo con 750 persone in sala, dove la gente paga caro un biglietto, mentre contemporaneamente ci sono guerre, molti muoiono di fame, ci sono nascita, morte e corruzione e tu sei solo un puntino nel mondo. Vero. Ma per me essere in teatro ieri sera era il posto più importante, le persone erano importanti, quello che stavo facendo era molto importante. Lo trasformo nella necessità e nella responsabilità di esserci.
Dall'altro, il repertorio di Pina non è solo vasto ma è anche senza tempo. 1980 è stato creato nel 1980, io lo interpreto dal 1987 ed è un sacco di tempo! Ci sono altri lavori meravigliosi e giustamente immortali - penso a Marta Graham, un'icona assoluta, a Merce Cunningham, un'altra icona assoluta - ma quando li rivedo oggi, pur essendo bellissimi, rappresentano gli anni '60 '70 '80 '90. I lavori di Pina, invece, ti parlano ancora adesso e vanno dritti al punto: vedi le contraddizioni del mondo, le tue debolezze, le tue forze, giochi con la Bellezza, con la stupidità e la superficialità. Penso per esempio alla scena della "competizione delle gambe" in 1980, dove i performers si entusiasmano fino a diventare ridicoli e grotteschi, senza accorgersi di essere in competizione tutto il tempo...Esilarante, certo, ma al contempo uno specchio spaventoso di quello che siamo. O alla scena delle "tre regine con l'applausometro", dove il pubblico deve scegliere chi è la vincitrice in base alle tragedie capitate alle candidate. Vince quella che sta morendo di cancro, mentre perde quella che si è presentata "soltanto" perché non ha un marito, non ha una casa, non ha un lavoro, non ha soldi. "Sei una vittima della tua malattia o la sconfiggerai? Meriti davvero di vincere un milione di Euro?", è la domanda atroce che il conduttore dello show fa prima di premiarla. E vedere questo mi riporta immediatamente ai talent show negli USA o in Italia. Non è solo uno spettacolo: è il mondo in cui viviamo oggi, dove siamo tutti vittime e carnefici di questo sistema.

Che cosa puoi dire del processo di lavoro e dell'interpretazione di Neues Stück 1. Seit Sie (Da quando lei), la recente creazione di Dimitris Papaioannou per il Tanztheater Wuppertal?
J.A.S:
Ero affascinata dal suo eloquio linguistico. Ero intrigata dalla sua capacità di esprimere le immagini che voleva vedere e che cercava di raggiungere con noi. Ero stupefatta dalla sua maestria di usare gli oggetti, non come elementi astratti piuttosto come cose animate, vive. Come lasciarsi attraversare da questo, come può diventare importante? Un approccio completamente diverso, ma, come ha detto anche lui: "Pina prendeva le cose da dentro e le portava fuori, un sacco di ricerca inside-out per esprimere qualcosa e condividere. Ma con me, potrebbe la vostra soddisfazione venire dall'esecuzione di un'azione al suo massimo potenziale? Dal raggiungere un'estrema abilità nel farlo? Può un artista trovare in questo tipo di approccio un modo per toccare la propria anima e sentirsi pienamente soddisfatto?".
Quando vedi quelle immagini meravigliose, che richiedono un alto livello di controllo, di calma, di calcolo, di onesta dedizione e di partecipazione a ciò che stai facendo istante dopo istante, capisci di poter trovare una completa soddisfazione.
Ed è precisamente qui che due approcci così differenti - quello di Pina e quello di Dimitris - si incontrano!
Ho ripetuto migliaia di volte l'azione con l'abito che diventa d'oro e ancora, esattamente come con Pina, mi chiedo come posso garantire quel momento: come mi appoggio al muro...come arrivano gli uomini e trasformano il nero del mio vestito in oro che sale sul mio petto e scende sul mio corpo...come mi tolgono il copricapo con le corna di toro... Cosa arriva al pubblico? Sto interpretando o sono vera? Chi è questa donna? Che cosa vuole? E vedere i miei colleghi con tutto ciò che loro hanno da fare: con le singole parti del corpo, con le braccia o estensioni delle braccia di un altro...portare una sedia attraverso il palcoscenico, ma in un modo incredibile... Precisione assoluta.
E' tutto questo che fa del modo di vedere di Dimitris Papaioannou quello di un pittore con una grande maestria nel disegnare e dettagliare. La sua formazione di vignettista ha forgiato una capacità acuta di osservare, immaginare e comporre, e sa portarti là dove quell'immagine deve arrivare. E' molto meticoloso, ed è molto frustrante quando le cose continuano a caderti e devi provare centinaia di volte, e ancora non va bene. Poi va messo in musica. Hai visto il trailer dello spettacolo? E' incredibile! Mi sono chiesta se davvero il pubblico poteva essere toccato da quel livello estremo di precisione.

La mia risposta da spettatrice è sì. Quando vidi Still Life rimasi folgorata dalla disinvoltura, dalle infinite variabili formali e ritmiche con cui certe azioni complesse e manipolazioni venivano fatte dai performers sotto gli occhi di tutti, trasformando continuamente oggetti in dimensioni altre, con una naturalezza disarmante e dentro una struttura rigorosissima. Ma, a mio avviso, c'è un altro livello di estremo interesse nel lavoro di Papaioannou: quella grecità antica latente, che striscia sotto ogni cosa, e a volte appare ma combinata con altri segni in un modo tale da non essere mai scontata. La riconosci, ma ci vedi anche dell'altro. Proprio come il mito, che è capace di reinventarsi e di parlare ancora alle persone nel terzo millennio.
J.A.S:
Vero. Le sue immagini arcaiche sono potenti perché multidimensionali. Vedi Medea, ma vedi anche qualcos'altro: la trasformazione in qualcosa di così umano che diventa toccante, attuale, fragile. Che è precisamente ciò di cui abbiamo tanto parlato di Pina...

Mi sembra di capire che nel caso di Dimitris Papaioannou è la perfezione richiesta la via verso la fragilità, perché se sposti di un centimetro quella cosa, rischia di cadere e di rompersi. Non capisci perché, ma la tua attenzione si concentra in dettagli piccolissimi che diventano tremendamente interessanti. E' come se le immagini dovessero arrivare a quel punto di perfezione per potersi dissolvere in qualcos'altro. E questo è costantemente presente sulla scena: una volta che il meccanismo è iniziato, deve andare fino alla fine.
J.A.S:
Esattamente. E questo meccanismo coinvolge anche me, che ne faccio parte. Lottare ogni giorno contro questo tipo di difficoltà e trasformarla in uno scopo, nella soddisfazione di riuscire a realizzarla. E il desiderio di realizzarla diventa soddisfazione. Il desiderio di padroneggiarla, come anche lui stesso ha detto: "Wish to master something, wish to master the way you do it!".
E' questo desiderio che produce il tipo di energia necessaria per farla succedere. Entrate complesse, percorsi intricati, sguardi, il giusto tempo per ogni cosa...Con Pina, il tempo giusto era il tempo di quando una cosa veniva dal posto giusto; con Dimitris il tempo giusto è quello di quando padroneggi quella cosa. Sono due estremi, ma si incontrano. Affascinante!

Dopo un'esperienza artistica e umana come la tua, come fai a confrontarti con il mondo, la società, le relazioni che non si fondano affatto su questi valori, che non celebrano Bellezza e fragilità?
J.A.S:
Lo so. Agonia ed estasi al tempo stesso. La pratica quotidiana con Pina Bausch non è diventata solo un modo di creare, ma anche di essere e di vivere. Quante volte sono tornata a casa con una domanda e ho continuato a cercare la risposta in cucina mentre prendevo una pentola... Guarda tutti i miei haiku, le mie poesie: mezzi attraverso i quali continuare a cercare risposte, a perfezionarmi.
Quante volte Pina ci ha chiesto: "Make the public happy", "Do something for yourself", "Do something from nothing". Bello, certo, ma come si fa a creare qualcosa dal niente? C'erano così tanti stimoli... e piano piano, lentamente qualcosa si muoveva in te e iniziavi ad essere creativo: i suoi erano stimoli per darti l'opportunità della creatività. Non ho mai incontrato nessuno in grado di regalarti tanta libertà, tanto spazio da essere quello che sei, la possibilità di provare, di essere ridicolo senza vergognarti. E lei scriveva tutto. Letteralmente tutto quello che succedeva. E accadeva che l'umiltà, la dedizione, la pazienza senza aspettativa da parte sua creavano uno stato mentale in tutti, nonostante forse solo lo 0,01% di quello che ciascuno di noi aveva proposto sarebbe entrato nella pièce.
Come faccio a conciliare questo con il mondo? Ho dovuto essere estremamente cosciente e non giudicare tutto e tutti. Utilizzare ogni situazione cercando di dare un valore, ogni situazione che non era "quello" come materiale da mettere in "quello". E' come avere un binocolo puntato sul mondo. Vai al museo, vai in un mercato, vai in un negozio, vai in un caffè e stai ore e ore seduto, proprio come i poeti haiku, ad osservare in attesa di una piccola cosa. Questo modo di lavorare ha cambiato la mia vita, è diventato la mia vita. Una continua ricerca. Quante volte gli occhi mi sono caduti su "particolari insignificanti" della vita di tutti i giorni e mi sono detta: ma questo è meraviglioso! Come posso portarlo in scena? Quello sguardo, quella difficoltà...

Qual è il tuo personale rapporto con la tecnica oggi?
J.A.S:
La tecnica è ancora fondamentale. Non potremmo camminare in scena come camminiamo senza tecnica! Mi alleno ancora prima delle performance, facciamo classi prima delle performance, faccio i miei esercizi qui in casa prima delle convocazioni, quindici minuti di training per connetterci con gli occhi prima di entrare in scena, esercizi di allineamento del corpo. E' anche la mia tendenza, non lo nego, una sorta di disciplina militare che mi deriva dalla formazione classica.

Hai paura di invecchiare, Julie? Che forma può prendere in futuro l'esperienza straordinaria che hai fatto nel rispetto del tuo corpo che cambia e della vita, che potrebbe anche portarti altrove?
J.A.S:
Penso che insegnare sia quello che farò.
Tutti gli insegnanti che ho avuto, i mentori, i differenti insegnamenti che ho seguito - lo yoga e il buddismo, ad esempio - quello che mi è arrivato dalla partecipazione a coreografie e spettacoli meravigliosi, i maestri che ho incontrato e l'incontro con Pina hanno toccato la mia vita, la mia umanità e la mia anima. Quindi voglio condividere in futuro tutta questa ricchezza attraverso l'insegnamento. Trovare una forma in cui i miei seminari possano mantenere vivo e scintillante tutto questo, senza immortalare, ma tenendo fluida la trasmissione dell'esperienza affinchè anch'io possa continuare ad evolvermi. Un modo che mi permetta anche di stare nella migliore forma fisica possibile e usarla come possibilità, esattamente come molte persone sono state di esempio per me. Trovare continuamente una ragione per vivere e invecchiare in un processo di cui non avere paura, talmente ricco da mantenermi curiosa.
Sto facendo proprio adesso l'esperienza con la mia famiglia, con mio padre di 88 anni, di quanto esista davvero una linea tra capacità e incapacità. E quando questo ti tocca da vicino, diventi estremamente sensibile alla questione. Certo che mi chiedo come invecchierò, se sarò ancora capace di camminare , ma non ci penso troppo. Penso che devo fare del mio meglio per mantenermi nella miglior condizione possibile, non come danzatrice ma come essere umano. So anche che il corpo ha un incredibile potenziale di stare in salute e in forze, di rigenerarsi e sono molto interessata a stimolare questa possibilità. Conosco molte strade per farlo.

Che consiglio daresti alle nuove generazioni di danzatori e coreografi, non solo in riferimento alla performance ma anche alle contraddizioni del tempo in cui viviamo?
J.A.S:
Che deve essere sempre molto chiaro che non si conosce tutto, che non sappiamo e non siamo mai abbastanza. Ma di non prendere questo in modo masochistico: vivere come un piacere l'avere ancora da imparare per diventare il meglio che possiamo diventare. Desiderare di stare in uno stato attivo di apprendimento, di ascoltare anche con gli occhi e non di fare finta di farlo. Essere presenti in quello che si fa. E se uno non ci riesce, fermarsi ed essere realistici con se stessi, onesti. Concedersi una pausa. Non buttare via il tempo nel mentire a se stessi. E nutrire lo spirito insieme al corpo, perché non si può trovare un equilibrio senza mettere insieme corpo, mente e spirito. Equilibrio non è soltanto una parola...Il consiglio è di continuare a chiedersi cosa funziona e cosa non funziona nelle nostre vite, perché solo così si evolve, a meno di non recitare una parte. Cercare quell'equilibrio che viene dalla verità con se stessi e con gli altri.

Grazie infinite, Julie.

Julie Anne Stanzak è una danzatrice storica del Wuppertal Tanztheater di Pina Bausch. Comincia giovanissima con The Minneapolis Childrens Theatre e il Chicago Lyric Opera Ballet sotto la direzione di Maria Tallchief. Dal 1979 al 1985 fa parte del Dutch National Ballet di Amsterdam sotto la direzione di Rudivan Danzig. Dal 1986 ad oggi danza con il Wuppertal Tanztheater di Pina Bausch, partecipando a tutti gli spettacoli che hanno reso celebre la compagnia, come Sacre du Printemps, Kontakthof, Palermo Palermo, 1980, Victor, Vollmond, per citarne alcuni. Tiene seminari in Italia, Francia e Germania e lavora come coreografa per diverse realtà in Europa.

Approfondimenti:
http://www.pina-bausch.de

http://www.ifhuman.com



In alto nell'ordine, Julie Anne Stanzak in due ritratti di oggi, in "Neues Stück 1. Seit Sie" di Dimitris Papaioannou (foto © Julian Mommert), e in "Nessuno sa di noi" regia Antonio Viganò, coreografie Julie Anne Stanzak.

Daniela Bestetti

(19 febbraio 2019)



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