WIA 2011 CINEMA - FUORI CONCORSO
REATO DI VITA, PESAMI L'ANIMA e LADY TRUCKS al Centro Culturale Tilane
Terzo appuntamento con il cinema venerdì 2 settembre alle 21 all'Auditorium del Centro Tilane di Paderno Dugnano, che vedrà la
proiezione di tre brevi documentari realizzati da tre allieve registe della Fondazione Milano Cinema e Televisione per raccontare gli universi sconosciuti di donne borderline.
REATO DI VITA - Un piccolo capolavoro di poesia per immagini: il corto di Elena Maggioni riesce a rendere perfettamente l'animo tormentato della poetessa
milanese per eccellenza, impersonata da un'eccezionale Carla Chiarelli.
Una donna straordinaria, Alda Merini, nonostante - o forse proprio per - la sua vita turbolenta, che la porterà diverse volte a essere internata e curata, come lei
stessa racconta, con il Pentotal, tacciata di essere un'isterica a causa di quel senso di solitudine che considerava requisito fondamentale di ogni buon versificatore.
La "poetessa dei Navigli" si è spenta il 1° novembre 2009, circondata dall'affetto dell'intera città, che ha voluto accompagnarla nel suo ultimo viaggio: lo
documentano i messaggi appesi alla sua porta dopo la morte, oltre alle immagini in apertura, virate sui toni del grigio, a simboleggiare la tristezza aleggiante sul
Duomo, emblema meneghino per eccellenza.
Lo stacco da queste immagini di repertorio è poi netto: veniamo catapultati in una realtà industriale, dove un gruppo di attori scaglia contro lo spettatore parole
che richiamano i versi della scrittrice.
Il corto si dimostra così fin da subito un pastiche di linguaggi differenti: letteratura, teatro, videodanza, arte contemporanea, fotografia, musica, cinema
e televisione, da cui vengono attinti alcuni filmati originali.
Un esempio su tutti della commistione di generi è ravvisabile nelle sequenze in cui siamo cullati dalla voce della Merini, che declama uno dei suoi
componimenti, accompagnati da Cinzia De Lorenzi e Marta Lucchini che danzano su uno sfondo astratto (le coreografie sono di Francesca Marconi).
L'uso della macchina da presa è stravolto, cambiano i colori e la nitidezza dell'immagine: non siamo di fronte a un mondo reale, ma alla dimensione
poetica delle parole e delle immagini.
Per contrasto, invece, le parti in cui la Chiarelli si fa corpo della Merini (quasi una possessione per la sua capacità di riprendere gesti e tic) sono totalmente
immerse nei luoghi che portano il segno della grande poetessa: i Navigli - con la casa di ringhiera, i vicoletti e la navigazione fluviale - e il Paolo
Pini (l'ospedale psichiatrico in cui è stata più volte ricoverata) sono i due esempi più eclatanti.
In questo secondo scenario, la musica, che finora ha teso ad armonizzare con le immagini, si fa incalzante e ansiogena, suscitando nell'animo dello spettatore
una tensione che verrà sciolta solo con la metaforica apertura della finestra, che lascia finalmente libero da ogni costrizione l'animo indomito di Alda.
Un'indole focosa, ben rappresentata dal cappotto rosso fuoco che ci accompagna in giro per la città, richiamando alla memoria persino "Shindler's List", quando
la protagonista spicca al centro di un tetro e solitario parco autunnale. Allo stesso tempo, un carattere schivo che si palesa in quel continuo nascondere o torturare
le mani, che spesso stringono una sigaretta nel tentativo di attenuare il disagio.
Infine un accenno alle musiche di Paolo Fresu, giacché il nome del grande jazzista si commenta da solo: esse avvolgono lo spettatore rompendo lo schermo, linea di
confine non oltrepassabile, e a renderlo partecipe in pieno dell'esperienza di quella che molti considerano la più grande poetessa italiana del dopoguerra, e che
continua a far sentire la sua voce sebbene non sia più tra noi.
E così questo corto a lei dedicato non solo ci consente di avere di lei un ricordo meno sfumato, esplorando diversi ambiti e ambienti della sua vita, ma si
attesta più come un arrivederci a presto che come un lungo addio.
«Chi sei? - chiesi d'impeto
La tua ciccia, cara, la tua ciccia in persona»
PESAMI L'ANIMA - In apertura al suo corto, Teresa Iaropoli entra già nel vivo della questione: parla di "ciccia", il grande taboo della società contemporanea, che
impone alle donne - perché gli uomini, come dice Lorella, vanno bene comunque siano - corpi perfetti taglia 40-42.
Una realtà "pesante", raccontata da quattro protagoniste in lotta con il modello dominante e che condividono il percorso di emancipazione dall'incubo della bilancia.
Il corto si configura come un racconto per capitoli. Valentina è introdotta da una schermata fitta di televisioni in cui riconosciamo le immagini di Miss Italia: è cominciata
così la sua lotta contro il corpo, quando, per partecipare al concorso, le viene chiesto di dimagrire sempre un po' di più perché i suoi fianchi rotondetti non sono
adatti alla passerella di Salsomaggiore.
Francesca la conosciamo invece immersa in una piscina durante una delle sue immersioni.
Questa scena rimanda alla mente - soprattutto nella componente sonora del respiratore - "Il laureato", in cui Ben (Dustin Hoffman) sfoggia un completo da sub, con tanto
di maschera e respiratore, nel bel mezzo di una grigliata in suo onore, a simbolo della sua alienazione sociale.
Lorella, invece, ci conduce alla scoperta di un certo tipo di arte, come quella di Rubens, Tiziano e Botero, in cui le donne sono opulente e pur bellissime: una fonte
di riscatto per lei, che prima di questa scoperta non aveva mai avuto il benché minimo rapporto con lo specchio.
Letizia, infine, è colei che si racconta fin dall'inizio nelle immagini di un vecchio filmino accanto alla madre: pur di essere amata, diventava ciò che l'altro
desiderava, recitando con chiunque una parte e sentendosi così svuotata del proprio io.
Quattro donne, quattro storie diverse che si fanno unisono, raccontando la loro esperienza in tre passaggi: dal disagio provato per un corpo che non è come lo
vorrebbero, al rigetto violento e all'autolesionismo, fino alla presa di coscienza del problema e alla reazione.
Da "un urlo sordo" scaturisce "una nuova voce", in grado di dire al mondo che il valore è racchiuso nella varietà degli esseri umani, non nell'omologazione
che ci rende uguali a dei manichini -paragonati per accostamento alle bellezze standardizzate di Miss Italia del primo capitolo, intitolato "L'ago della bilancia".
La svolta si compie col venir meno della necessità di coprire il proprio corpo: ecco perché la regista decide di riprendere le protagoniste senza veli, con una
luce abbagliante che le colpisce e che fa risaltare i loro corpi su fondo nero, con mani che esplorano, corpi che si svelano, carni che mostrano
le sofferenze autoinflitte e ne portano le cicatrici.
La continua presenza di fotografie e filmati amatoriali che ritraggono le protagoniste serve l'evoluzione del pensiero in una direzione precisa, esplicitamente
dichiarata: riacquisire il potere del corpo.
Il messaggio risuona forte e chiaro, riuscendo anche a sopperire alla frammentarietà che inevitabilmente una narrazione a capitoli provoca, con l'insistente
presenza dei titoli in bianco su fondo nero.
LADY TRUCKS. LA VITA ON THE ROAD - «Da ammirare», «coraggiose», «brave»: così i camionisti intervistati definiscono le loro colleghe al volante. E aggiungono che è un
lavoro duro già per un uomo, figuriamoci per una donna!
Ma le signorine della "Buona strada Lady Truck Driver Team" non sono della stessa opinione: per loro guidare il camion è una vocazione, non lo vivono come
una decisione temeraria, ma come una scelta obbligata.
Il corto di Maria Carolina Guidotti ha un taglio decisamente documentaristico, concentrando il suo interesse sulle vite di Gisella - fondatrice del gruppo - Michela e
Patrizia, da subito presentate nel loro ambiente quotidiano: la strada.
L'ambientazione bucolica inizialmente suggerita, fatta di campi sterminati e fiori bellissimi, fa da contrappunto al gigantesco e mostruoso camion che Gisella
si appresta a preparare per la giornata.
L'incipit sembra proporre un ruolo "consueto" della donna, giacché pulire è sempre stata una delle mansioni tradizionalmente affidate al genere femminile.
Vederla poi montare su un enorme bestione inizialmente provoca un piccolo choc; niente di strano, invece, per chi il camion ce l'ha nel cuore: le tre
protagoniste raccontano di aver provato altri lavori, ma di preferire senza dubbio l'on the road, precisamente delineato dalla macchina da presa, fatto di asfalto
grigio, automobili ritratte negli specchietti retrovisori e uscite autostradali.
Tuttavia, lo scopo della regista non è solo quello di mostrare la normale routine, quanto di scoprire anche il mondo dei raduni, con immagini notturne che
richiamano alla mente il Natale, tanto sono ricche di luci colorate.
D'altronde il kitsch è parte integrante di questa cultura, come dimostrano gli interni dei camion pieni di fiocchetti, pupazzi e oggetti di ogni tipo. E, ancora,
la solidarietà come parte integrante di questa cultura, sia tra colleghi che verso il prossimo, come dimostrano le iniziative benefiche messe in piedi dalle Lady Trucks.
Sono molti i pregiudizi da sfatare e c'è ancora chi non vede di buon occhio la presenza femminile all'interno di un microcosmo patriarcale; persino i
colleghi, che si erano detti estimatori delle Lady Trucks, si dicono perplessi nel vestire in quei panni mogli o fidanzate.
La tecnica di questo corto documentario è sobria ed essenziale, senza sbizzarrirsi in soluzioni registiche particolari: segnalo solo un'interessante split screen a seguito
della presentazione delle tre protagoniste. La musica non è molto presente, perché imperante è il tappeto sonoro dei rumori della strada.
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In alto foto tratte dalle opere Reato di vita, Pesami L'Anima e Lady Trucks
Roberta Tocchio
(28 agosto 2011)
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