Cinema
RECENSIONI
Coco avant Chanel - l'amore prima del mito
La pellicola di Anne Fontane ha aperto ufficialmente Women in Art - festival del femminile nell'arte. Un film che racconta la storia di una delle donne più importanti
del XX secolo da un punto di vista inedito: Coco prima di diventare Chanel
SESTO SAN GIOVANNI - Gabrielle Chanel, ancora bambina, rimane orfana di madre e, con la sorella maggiore Adrienne, viene
abbandonata dal padre in un orfanotrofio, dove trascorre l'infanzia sperando in una visita paterna: l'evento forgerà il suo carattere, rendendola
poco avvezza ai sentimentalismi. La ritroviamo, infatti, alle prese col doppio lavoro in una sartoria di giorno e in un locale di
seconda categoria la sera, dove si guadagna il nomignolo "Coco" dal titolo della canzone con cui, insieme ad Adrienne, delizia il pubblico.
Grazie alla sua sfacciataggine si fa notare dal barone Balsan e, con spirito di iniziativa, riesce a diventarne l'amante e a farsi presentare
in società: un mondo di apparenza che non le è affine.
Tuttavia l'attenzione per i particolari degli abiti svela già il suo futuro, confermato dal talento nella confezione di cappelli, che ben presto
spopolano nel bel mondo.
A casa di Balsan fa anche la conoscenza di Arthur "Boy" Capel, businessman inglese che le fa scoprire quell'amore cui aveva sempre cercato di resistere.
Al ritorno da un weekend al mare Boy dichiara a Coco amore eterno, ma in verità nasconde un segreto...
La vita non è generosa con Coco in amore, ma le concede la rivincita in campo lavorativo: partendo dal suo atelier di cappelli, diventa la
stilista simbolo della donna nuova, libera dalle costrizioni anche fisiche (sarà lei a far sparire l'uso del bustino).
L'indipendenza è il tratto essenziale del suo carattere: dopo aver passato anni ad attendere il ritorno del padre, decide di non lasciarsi
più scalfire dai sentimenti, riempiendo la sua fame d'amore con i romanzi e sfruttando le persone per il beneficio che può trarne.
Sorge spontaneo il paragone con un'altra figura mitica portata al cinema da Shekhar Kapur, Elizabeth, la Regina Vergine che
non volle mai sottomettersi all'egemonia maschile.
Storie di donne forti che riempiono il grande schermo con la loro personalità caparbia, evidente in ogni scelta.
Coco dalle molte sfaccettature, come sottolinea la presenza assidua di specchi che riflettono immagini diverse: su tutte
prevale il desiderio di "diventare qualcuno", anche se non sempre le è chiaro in che modo.
Non a caso la pettinatura cambia in ogni fase della sua vita: dalla composta treccia dell'infanzia, al raccolto sopra il capo del suo momento
più "mondano"; dallo chignon del periodo con Boy, al caschetto radicale che sfoggia quando per la prima volta la ammiriamo nel suo atelier, fino al
taglio più morbido nella sfilata, quando ormai Chanel è il nome che detta legge nel campo della moda.
I capelli corti simboleggiano la raggiunta indipendenza di Coco; il suo animo indomabile è presente in diverse parti del film, ma è particolarmente
evidente nell'ultima, quando, a cena con Boy, sottolinea con il cameriere la sua condizione di signorina e manifesta la sua intenzione di
pagare l'affitto della casa al mare. Allora Boy afferma: «Credevo di darti un giocattolo e ti ho dato la libertà».
Le musiche di Alexandre Desplat non rischiano mai di soverchiare le immagini, che si attestano sull'antitesi tra i toni caldi
delle scene di interni familiari e quelli freddi della sartoria o addirittura asettici dell'orfanotrofio.
In quest'ultimo ambiente, la composizione delle scene viene molto studiata dal punto di vista delle forme - per cui si segnalano in particolare i
copricapi delle suore che nascondono i volti impedendo la creazione di un rapporto - e dei colori - con i contrasti tra il bianco dei dormitori, il
nero degli abiti e il rosso dei vestiti delle bambine più ricche.
Il gioco coloristico viene impiegato nel film anche per differenziare gli stati d'animo della protagonista dall'ambiente che la circonda: dopo che
Boy rivela i suoi piani di matrimonio con un'altra donna, Coco è sdraiata sotto un albero, immersa tra le foglie di un
marrone molto caldo in contrasto con il suo incarnato cinereo e i suoi abiti cupi.
In generale Coco non indossa mai colori sgargianti: il vestito rosa confetto che Balsan le regala viene prontamente sostituito con una
sua creazione; la stoffa viola mammola proposta da un commesso per confezionare un abito elegante cede in favore del nero.
La semplicità rivoluzionaria degli abiti di Coco è accentuata nelle passeggiate dal contrasto con le altre donne, rigide nei loro bustini, agghindate
da gioielli e cappelli, paragonati dalla protagonista a delle meringhe.
Lo stile inconfondibile di Coco nasce da intuizioni folgoranti, suggerite dall'osservazione acuta della realtà: i pantaloni sono più pratici
in tempo di guerra anche per le donne, i tessuti di maglia si adattano meglio al corpo del taffetà, le uniformi rigate dei pescatori possono
ispirare un'intera collezione. Ed è questa libertà, questa inventiva a farne una delle migliori stiliste del XX secolo.
La regista Anne Fontaine ha voluto raccontarla da un punto di vista inedito e credo che ci sia riuscita: soltanto pochi indizi ci
fanno presagire il futuro radioso di Coco.
Il mito nasce dove il film si arresta, ma il sospetto è che, in quel preciso istante, la donna che sta dietro all'icona si spenga.
«Se mi annoio, mi sento vecchissima» aveva dichiarato la protagonista all'inizio del film: per questo continua a lavorare, detestando
la domenica (giorno dedicato al riposo), portandosi con la sua potenza creativa sempre un passo avanti agli altri, ma restando con la memoria
legata al passato, ai tempi in cui era semplicemente Coco e non la mitica Chanel.
Roberta Tocchio
(1 settembre 2009)
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