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TEATRO - autori contemporanei

IL TEATRO TRAGICOMICO DI CARLOTTA CLERICI
Drammaturga e regista teatrale italiana, tende a far coesistere tragico e comico, dentro una struttura narrativa corale, la cui dimensione temporale talora assume una valenza molto significativa, in cui tutti i personaggi pur avendo lo stesso rilievo ai fini drammaturgici mantengono la propria individualità, e la cui storia narrata è ricca di intrecci e piena di risvolti psicologici.

Carlotta Clerici BRESSO - "Parto da me, da cose che mi sono successe,e da lì vado altrove".
Alla base del concetto di teatro di Carlotta Clerici c'è un sostanziale realismo: esperienze personali, fatti realmente accaduti, personaggi realmente esistiti, sentimenti, emozioni, storie di vita che si intrecciano, seguendo dinamiche che si rivelano allo stesso tempo necessarie e tuttavia insondabili nel loro significato ultimo, velando così di mistero ogni accadimento.
La sintesi avviene attraverso un duplice processo: la proiezione del macrocosmo dentro i limiti di un microcosmo, il mondo in un palcoscenico o in un testo drammaturgico, e, in modo antitetico, un procedimento che dal particolare porta all'universale, un risvolto psicologico o un sentire contingenti che si elevano a categoria di tutta l'umanità o a principio universalmente valido.
E come intendere quello "altrove"? Come mero sconfinamento nell'immaginazione, o come atto creativo, cioè come quel processo che a partire da un dato ben presente alla coscienza si sviluppa in una direzione sconosciuta a priori per determinare una nuova forma?

D: Prescindendo dal fatto che non esistono strumenti esaurienti per esprimere la vita in tutta la sua pienezza, volerla rappresentare non implica necessariamente un movimento verso l'ignoto? E l'atto creativo, o rappresentazione, pur soggiacendo a delle strutture e seguendo dei processi razionali, può, contrariamente, dirsi "irrazionale", in quanto, come testimonia quello "altrove", sfocia in qualcosa che non si era minimamente preventivato e che va al di là dell'intenzione iniziale?
R:
Certamente. Scrivo non per dire quello che ho capito, ma per indagare l'ignoto. Le mie non sono mai risposte, ma piuttosto domande.
E la parte più interessante della scrittura è sempre quella che ci « sfugge ».
Quella che viene direttamente dall'inconscio e che si manifesta talora in una frase, talora in un personaggio, in una situazione.
Qualcosa che ci sorprende e che si rivela, in primo luogo, a noi stessi.

Drammaturga, con le pièce "La Mission" del 2001, "L'Envol" del 2003, "Le Grand Fleuve" del 2007, "Ce soir j'ovule" un monologo del 2008, "C'est pas la fin du monde" del 2010, e regista, tra i tanti lavori ricordiamo la "Trilogia della villeggiatura" di Goldoni, Carlotta Clerici tende a far coesistere tragico e comico, dentro una struttura narrativa corale, la cui dimensione temporale talora assume una valenza molto significativa, come ne "L'Envol", in cui tutti i personaggi pur avendo lo stesso rilievo ai fini drammaturgici mantengono la propria individualità, e la cui storia narrata è ricca di intrecci e piena di risvolti psicologici.

D: La vita, nelle sue molteplici manifestazioni, è fondamentalmente convivenza, compromesso tra le varie parti, quindi anche commistione, gioco di equilibri, tuttavia, l'universo fisico così come l'universo psichico obbediscono a delle leggi rigide e inesorabili. Lo stesso si può dire per un testo drammaturgico e per il teatro, i cui contenuti sono inseriti in leggi strutturali. Volendo rappresentare appunto la vita, quali sono i parallelismi che lei trova tra queste due dimensioni?
R:
Ho letto anni fa un saggio su Cechov che mi ha segnato, e insegnato molto. Mostrava come alla base dei drammi di questo genio assoluto del teatro vi fosse la struttura del vaudeville.
Ecco. Non l'ho mai dimenticato. Ho, come riferimento, questa struttura classica, sulla quale si appoggiano le commedie di Feydeau così come i testi di De Filippo.
Una struttura solida, che permette di intrecciare comico e tragico, di fare incrociare le vicissitudini di vari personaggi, di fare coesistere sublime e grottesco.
In fondo, la struttura del vaudeville è un po' quella della vita...

Pur mantenendo una certa leggerezza, le pièce di Carlotta Clerici tendono a mettere in rilievo le debolezze dell'uomo, la precarietà di un equilibrio raggiunto, talora un dramma e l'impossibilità di risolverlo all'interno di un certo tipo di società.
A partire da un evento contingente quindi si risale ad un archetipo che informa l'umanità tutta.
Così ne "La Mission" un gruppo di giovani, uniti da forti ideali etici e artistici, e aspiranti a dare vita ad un teatro proprio con cui portare a termine la loro missione, si scontra con determinate logiche, che potrebbero comprometterne gli obiettivi.
Ne "Le Grand Fleuve" invece è il dinamismo intrinseco della vita che si scontra con la presunzione tutta umana di riuscire a raggiungere lo "status quo".
L'equilibrio di una coppia che conduce una vita tranquilla, in una bella casetta di campagna, viene turbato da una serie di accadimenti, che mettono a nudo la falsa impalcatura sul quale era costruito il rapporto tra i due. Eppure c'è un modo affinché tal inaffidabile natura umana e tali accidenti destabilizzino solo relativamente: guardare alla vita come ad un percorso in cui tutti gli eventi sono allo stesso tempo necessari ma forieri di un senso da scoprire in fieri.
Così in "C'est pas la fin du monde" due donne, amiche di vecchia data, sono travolte da una serie di avversità, ma come il ciel sereno e terso discaccia la tempesta, in tal modo un nuovo significato esistenziale e una nuova vita possono darsi dopo la disperazione, basta dirsi: "Questa non è la fine del mondo".

D: Spesso ci accadono delle cose alle quali non riusciamo ad attribuire un senso. Cataloghiamo pertanto quel fatto come casuale. Poiché l'uomo non possiede gli strumenti adatti per una comprensione totale della realtà, è possibile invece che ogni evento sia ricoperto da necessità? E con questa consapevolezza, può l'uomo riuscire a superare anche i momenti più drammatici?
R:
Credo che ci sia un senso in tutto quello che accade. E se non c'è, è nostro compito darlo. Non so quale atteggiamento si possa avere di fronte a vere tragedie - ho la fortuna di non averne mai attraversate. Ma quello che voglio dire nella mia ultima pièce, e che è ben riassunto dalla frase fatta che mi fa da titolo, è che bisogna reagire alle avversità, dare fiducia alla vita, mai compiacersi nella sofferenza, nello scacco.
Bisogna rimboccarsi le maniche, e riprendere a vivere, avendo il coraggio di cambiare quello che non va. E magari si può anche scoprire che, superando gli ostacoli che ci hanno intralciato il cammino, la nostra vita può diventare migliore - più sincera, più pregna di senso.

"Tiepido era il sole, e il sereno giorno/ rivelava lontani/ ancor nevosi i monti./ Le foglie, tremolando,/ salutavano l'inverno morente,/ e sul placido lago/ una brezza leggera/ con sé recava odor di primavera".

Il Lario e la sua natura, il Lario e le sue ville: romanticismo e storia. Sedere in riva al lago e osservare come pian piano l'ombra della montagna si allunga sullo specchio lacustre, godersi il lustreggìo delle crespe acque al sole, visitare Villa d'Este, Villa Promontorio, Villa Carlotta, (che fu del marchese Giorgio Clerici).
Chi deve lasciare quei luoghi non può che agognare il "nostos". Il tema de"L'Envol" è proprio il ritorno.
Un gruppo di amici si ritrova dopo tanti anni nei luoghi che furono dell'adolescenza: chi è rimasto e chi ha preso il volo, chi ha voluto rimanere legato alle proprie radici e chi ha creduto in un avvenire lontano dalla propria terra. Rimpianti e nostalgia pervadono tutta la pièce.

D: Benché la terra natia susciti inevitabilmente un legame di sangue, non è forse vero che la nostalgia sia in qualche modo una necessità dell'uomo, cioè che, pur rimanendo alle origini, per necessità l'uomo debba proiettarsi in un luogo altro e in un tempo altro dove risiederebbe un'ipotetica felicità?
R:
Certamente. Ho scritto negli appunti de "l'Envol", all'epoca in cui ho scritto il testo, che « nasce dal rimpianto di un paradiso perduto che, probabilmente, non è mai esistito, ma del quale ho una nostalgia divorante ».
Il rimpianto della gioventù, idealizzata, il desiderio di un altrove perfetto e carico di promesse che, in realtà, non esiste ma che desideriamo...
E' un tema che ritorna nel "Grande fiume" (il desiderio di partire di Francesca) e in "Non è la fine del mondo" (Sophie, alla fine, vuole andarsene lontano).
E' il desiderio di perdersi.

Talora crediamo, o speriamo, che ci sia qualcuno vicino a noi che possa comprenderci, che possa capire i nostri problemi, che possa cogliere il nostro disagio, che possa penetrare il nostro dramma. E invece no. Nel dolore l'uomo è solo.
Non c'è nessuna parola che lo possa alleviare, non c'è nessuna persona che possa viverlo. A tutto questo si aggiunge l'indifferenza della società.
Il sentito è nostro e di nessun altro. "Ce soir J'ovule" è un monologo che tratta il dramma dell'infertilità femminile.
Una donna, arrivata a un certo punto della propria vita, sente fortemente il desiderio di diventare madre. Il tempo passa, e non succede niente.
Nonostante tutti i consigli degli amici e tutti gli sforzi dei medici, si sente sempre più sola e incompresa.
L'obiettivo iniziale passa in secondo piano, e tutte le sue attenzioni si rivolgono al proprio corpo. Fin quando esausta e stanca di lottare decide per l'adozione.
In un climax discendente che dalla comicità si sposta al tragico, si snocciola "Stasera ovulo".

D: Il desiderio di diventare madre è qualcosa di incontrollabile, una pulsione connaturata, frutto forse di un volere superiore, alla quale ci si può opporre fino a un certo punto. Quanto gioca la volontà di una donna in questo senso, e prendendo ad esempio il tema della pièce, dove sta il confine tra il desiderio di diventare madre e quello di dimostrare la propria adeguatezza?
R:
E' così difficile essere onesti con se stessi, non mentirsi, sapere esattamente da dove vengono le nostre pulsioni !
Il desiderio di maternità mi sembra qualcosa di estremamente naturale. Quando non viene soddisfatto in maniera altrettanto naturale, entrano in gioco tante problematiche, tutto si mescola.
Il sentimento di inadeguatezza, tra l'altro, viene rinforzato dalla stigmatizzazione della società, e dalla pressione esercitata dai medici.
Si sprofonda in una sorta di nevrosi, di depressione, e diventa molto difficile recuperare un po' di ragione, guardare le cose con un po' di distanza.

In alto Carlotta Clerici, foto by brunialti a K1


Pietro Luciano Belcastro
(28 marzo 2013)



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