Teatro
Biografie di donne
Anna Magnani - dietro il mito
"Non so se sono un'attrice, una grande attrice o una grande artista. Non so se sono capace di recitare. Ho dentro di me tante figure, tante donne, duemila
donne. Ho solo bisogno di incontrarle. Devono essere vere, ecco tutto." Anna Magnani
BRESSO - Questi i giorni dedicati alla memoria della Shoah, della vergogna dei crimini nazifascisti, dello strazio, della sofferenza e degli eroi.
Questi i giorni delle fotografie e dei filmati in bianco e nero e delle testimonianze di uomini e donne che non vogliono dimenticare. E' così che, nell'affastellarsi
delle tante immagini che riempiono la mia mente, affiora il ricordo di una sequenza cinematografica vista da piccola in compagnia di mia madre, e più volte negli anni da sola.
Una donna che grida e chiama disperatamente "Francesco", una donna che si fa largo come una furia tra la gente, sfondando con forza il muro di soldati
nazisti che cercano di fermarla.
Una donna che corre e corre urlando quel nome dietro al camion che si porta via lui, Francesco, il suo uomo.
Un disperato tentativo di trattenerlo a sé, di salvarlo dall'arresto. E poi la caduta: Pina cade, uccisa da una raffica di mitra.
Indimenticabile. Roberto Rossellini, regista del film, ricorda così l'attrice: "... la sua preoccupazione era quella di non farsi male. Quando ha girato la scena
è caduta, è caduta com'è caduta, e s'è ferita tutta quanta, perché a questo punto aveva perso ogni prudenza. Si metteva con la disponibilità
completa nelle cose, questa era la sua straordinaria forza." (da un'intervista del 1974- tratto dalle teche Rai).
"Roma città aperta", il titolo del film del '45 di Roberto Rossellini, memorabile simbolo del Neorealismo italiano; Anna Magnani, il nome dell'attrice
protagonista della scena cruda e commovente, tanto vera quanto la forza della sua recitazione.
Una sequenza di immagini che la consacra al cinema e che la rende nota in tutto il mondo. Bellissimi i versi di Pier Paolo Pasolini
ne "La religione del mio tempo" sul film e sull'attrice: "...Ecco... la Casilina, su cui tristemente si aprono le porte della città di Rossellini... ecco
l'epico paesaggio neorealista, coi fili del telegrafo, i selciati, i pini, i muretti scrostati, la mistica folla perduta nel daffare
quotidiano, le tetre forme della dominazione nazista...
Quasi emblema, ormai, l'urlo della Magnani, sotto le ciocche disordinatamente assolute, risuona nelle disperate panoramiche, e nelle sue occhiate vive e mute
si addensa il senso della tragedia. E' lì che si dissolve e si mutila il presente, e assorda il canto degli aedi."
Il mio è un ricordo appassionato e forse un po' nostalgico di una donna conosciuta solo attraverso lo schermo: un volto e uno sguardo mai banali, una voce
rotta dal pianto, una risata fragorosa, mani che parlano tanto, gesti forti, carezze e baci di madre e di amante.
E' il ricordo di un'attrice che ha regalato al pubblico la sua arte fatta di passione, studio e tanto mestiere, ma anche la sua vita complicata, piena di contrasti, di bianco
e di nero come i suoi film.
Solo in questi ultimi anni ho sentito il bisogno di capire quanto ci fosse di lei dentro le donne che interpretava. E così ho letto di un'infanzia fatta
di abbandoni, amori travolgenti e drammatici, gioia per la nascita del figlio Luca e soddisfazione per i numerosi premi e riconoscimenti, tanti incontri
e una fine segnata dalla solitudine, dalla vergognosa dimenticanza di molti e dalla vicinanza di pochissimi.
Anna Magnani nasce a Roma il 7 marzo 1908 da padre ignoto. La madre, Marina Magnani, l'abbandona piccolissima, per trasferirsi ad Alessandria d'Egitto dove
sposa un uomo austriaco molto facoltoso.
Da qui nasce la leggenda per cui Anna fosse egiziana: all'inizio lei stessa ci gioca, ma con il tempo inizia a sentire la necessità di
rivendicare le sue origini "Sono romana, di Porta Pia", dirà da adulta. Anna cresce con l'amorevole nonna materna e con le cinque zie.
Un'infanzia caratterizzata dalla presenza di figure femminili, ma non da quella di una madre. La nonna, la più importante di tutte, le trasmette l'amore per
la musica e per il teatro.
A quindici anni Anna decide di raggiungere la madre in Egitto, ma il tentativo di recuperare quell'amore fallisce.
Dirà così di se stessa e di quella mancanza di affetto: "Ho capito che ero nata attrice. Avevo deciso di diventarlo nella culla, tra una lacrima di troppo e una
carezza di meno. Per tutta la vita ho urlato con tutta me stessa per questa lacrima, ho implorato questa carezza. Se oggi dovessi morire, sappiate che ci
ho rinunciato. Ma mi ci sono voluti tanti anni, tanti errori".
E ancora: "Non so se sono un'attrice, una grande attrice o una grande artista. Non so se sono capace di recitare. Ho dentro di me tante figure, tante donne, duemila donne.
Ho solo bisogno di incontrarle. Devono essere vere, ecco tutto."
Credo che il suo bisogno sia stato in parte soddisfatto, tante sono le donne che ha interpretato e, anche se spesso imbrigliata dalle mode teatrali e cinematografiche
del tempo, è riuscita a trasmettere la sua verità.
Le sue sono donne tenaci, segnate da vite difficili, ma piene di dignità, capaci di decisioni importanti, tanto appassionate da commettere errori, pronte a
redimersi per amore e a pagare le conseguenze dei propri errori.
Donne prevalentemente drammatiche e struggenti, sia nel cinema che nel teatro. Negli anni sessanta si congeda dal palcoscenico con due figure ancora
tragiche: "La lupa" di Giovanni Verga, diretta da Franco Zeffirelli, e "Medea" di Jean Anouilh, diretta da Giancarlo Menotti.
Straordinaria attrice drammatica, tanto naturale e credibile da indurre molti ad attribuire alla donna Anna Magnani le stesse caratteristiche delle sue protagoniste.
Un'etichetta che lei stessa contesta: "Ma cos'è questo presentarmi a ogni costo come un'Elettra chiusa, solitaria e delusa? Come ve lo devo spiega' che so'
allegra, che c'ho la ruzza, che rido, che essere la Magnani mi diverte da morì, e gongolo tutta se la gente mi riconosce per strada, se il vigile
urbano mi dice, continuando a dirigere il traffico: "Ciao Nannare'". Insomma: è la stessa storia di quando la gente si meraviglia perché la mia casa è piena di
buongusto e di libri. Ma quante volte ve lo devo spiega' che non sono stata raccattata per strada, che ho fatto fino alla seconda liceo, che ho studiato
pianoforte otto anni, che ho frequentato l'Accademia di Santa Cecilia?".
Nel 1927 si iscrive alla Scuola Eleonora Duse (che nel 1935 viene trasformata in Accademia Nazionale d'Arte Drammatica) diretta da Silvio D'Amico,
che così la descrive: "Ieri è venuta una ragazzina, piccola, mora, con gli occhi espressivi. Non recita, vive le parti che le vengono affidate: è già un'attrice,
la scuola non può insegnarle molto di più di quel che ha già dentro di sé." .
Al saggio del secondo anno, dove recita una commedia di Verga, viene notata da Dario Niccodemi, autore di drammi popolari di grande successo, che le
propone di entrare nella sua compagnia Vergara-Cimara. Anna accetta, anche se sa che dovrà lasciare la scuola, la città e soprattutto la nonna.
Le vengono assegnate piccole parti: tante le cameriere e pochissime le battute, ma passione, costanza e bravura le consentono presto di diventare una delle
attrici più richieste. Con la Compagnia parte per una tournée in Sudamerica. La nonna di Anna muore qualche mese dopo la sua partenza.
Lascia un profondo vuoto che da un lato costringe Anna a rafforzare il suo carattere, e dall'altro spiega la diffidenza e la voracità con cui spesso vive rapporti
umani e lavorativi, la passionalità e la morbosa possessività che caratterizzano i complicati e burrascosi legami sentimentali degli anni successivi.
Con il passare dei mesi le sue parti si fanno sempre più consistenti; non ha più la timidezza della principiante e il suo nome nelle locandine è sempre più evidente.
Nel frattempo in Italia il cinema sonoro porta via pubblico al teatro, nasce così un genere tutto italiano "l'avanspettacolo", una rivista che va in scena nei
teatri-cinema prima della proiezione del film.
Anna decide di provarci nel 1934 con i fratelli De Rege, come attrice comica e come cantante. È su questi palcoscenici che nasce "Nannarella".
Prima dell'approdo alla rivista, Anna era stata scritturata da Antonio Ganduso per lavorare con il suo compagno d'Accademia Paolo Stoppa.
In questo periodo il capocomico si innamora di lei e, conscio delle sue qualità, le consiglia di tentare la strada del cinema. Cosa che Anna farà, interpretando
piccole particine in alcuni film.
Il primo ruolo importante lo ottiene nel '34 con "La cieca di Sorrento" di Nunzio Malasomma. Vengono poi altri film, sempre con ruoli di caratterista che
la lasciano un po' ai margini, tranne che in "Tempo massimo", film d'esordio di Mario Mattioli, con Vittorio De Sica.
Di questo periodo anche il grande amore per il regista Goffredo Alessandrini, che sposa nel 1935. Nonostante Anna creda fortemente in questa unione, che difenderà
sino all'ultimo, sarà costretta alla separazione, tormentata dalla gelosia a causa dei troppi tradimenti del marito e della sua scarsa considerazione, convinto
che Anna fosse più adatta al teatro che al cinema.
Intanto continua a interpretare ruoli da cameriera e da cantante nei cosiddetti film dei "telefoni bianchi".
Nel 1941 Vittorio De Sica le offre un ruolo in cui può mettersi in evidenza: quello di Loretta Prima, artista di varietà nel film "Teresa Venerdì".
Una vera parte da protagonista la ottiene invece nel '43 in "Campo de' fiori" di Mario Bonnard, dove recita al fianco di Aldo Fabrizi. Di questi anni anche
l'incontro con Totò, con il quale dà vita a uno dei più grandi sodalizi del teatro italiano. Michele Galdieri dal '40 al '44 propone al pubblico 4
riviste: "Quando meno te l'aspetti", "Volumineide", "Che ti sei messo in testa?" e "Con un palmo di naso".
Anna interpreta ruoli memorabili come quello della fioraia del Pincio.
Nel 1940 Anna si innamora dell'attore Massimo Serato, di nove anni più giovane di lei. Dalla loro relazione nasce Luca , il 23 ottobre del 1942.
Unico figlio amatissimo da Anna che ormai trentatreenne lo considera "una benedizione del Signore".
Serato si allontana da Anna proprio in seguito alla gravidanza, anch'egli soffocato dalla gelosia e dalla possessività.
Dichiarerà: "Dovevamo stare insieme in piena libertà, questi erano i patti. Io volevo essere libero e lei mi pretendeva legato".
Con l'occupazione tedesca, Roma viene messa in ginocchio. In questo clima il regista Roberto Rossellini e lo scrittore Sergio Amidei sentono il bisogno di
documentare ciò che è successo nei mesi di occupazione nazista. Nasce così "Roma città aperta", con la scena che ha dato vita al mio ricordo:
Pina che corre e corre dietro quel camion urlando "Francesco" e viene uccisa a colpi di mitra sotto gli occhi del figlio.
Una delle sequenze più famose del cinema italiano, che ha commosso tutto il mondo e ha portato Anna nell'Olimpo delle star, facendole vincere il Nastro d'Argento nel '45 e
la Palma d'Oro nel '46.
Anna lo considererà il suo film più sofferto: "Non posso più vederlo. Non piango, ma quando torno a casa sto male".
Con questo film nascono il neorealismo e il personaggio Magnani, e sul set anche l'amore per Rossellini, un uomo che la fa sentire protetta e considerata. L'irruente carattere di entrambi rende il rapporto comunque burrascoso. La loro storia d'amore, durata più di quattro anni, termina miseramente con l'arrivo in Italia di Ingrid Bergman, che prende il posto di Anna nel cuore di Rossellini.
Dopo "Roma città aperta" Anna gira ben 5 film in un anno, tutti nei panni della donna del dopoguerra alle prese con borsari neri, difficoltà, speranze e sogni infranti.
Nel '47 vince il secondo Nastro d'Argento e la Coppa Volpi con "L'onorevole Angelina", diretto da Luigi Zampa.
Nel '48 gira un nuovo film con Rossellini (ultima volta insieme): "L'amore", diviso in due episodi. Il primo, "La voce umana", trasposto dall'atto unico di
Jean Cocteau; il secondo, "Il miracolo" (in cui recita un giovane Federico Fellini), tratto da "Flor de santitad" di Ramón Maria del Valle Inclán (suo terzo Nastro d'Argento).
Nel 1951 Anna interpreta Maddalena, la protagonista del capolavoro di Luchino Visconti "Bellissima" al fianco di Walter Chiari, con cui vince il suo quarto Nastro d'Argento.
Dopo la "La carrozza d'oro" del regista francese Jean Renoir, film di poco successo, Anna rimane ferma per tre anni.
Torna alla rivista, e in un'intervista del tempo dichiara: "Avevo una voglia pazza di tornare al teatro. E mi sono decisa. Soltanto che pensavo che tornare al
teatro serio mi avrebbe dato dei complessi, dei timori, perciò ho preferito tornarci dalla parte del buonumore. È un assoluto bisogno di buonumore che ho!".
Ma anche in teatro i gusti del pubblico sono cambiati.
Nel 1954 Hollywood la chiama per un film che Tennessee Williams ha scritto appositamente per lei "La rosa tatuata".
Il ruolo è quello di Serafina Delle Rose al fianco di Burt Lancaster. La partenza per l'America è dolorosa, ma il film si rivela un successo.
Alla notte degli Oscar il 21 marzo del '56 è la prima interprete italiana nella storia degli Academy Awards a vincere la prestigiosa statuetta come migliore attrice protagonista.
Per lo stesso ruolo vincerà anche il Golden Globe come migliore attrice in un film drammatico. Dopo il grande successo gira ancora due film in America, sempre con
ruoli tragici: "Selvaggio è il vento" al fianco di Anthony Queen, con cui vince come migliore attrice il David di Donatello e l'Orso d'argento a Berlino, e "Pelle di serpente"
con Marlon Brando.
Rientrata in Italia, interpreta per la regia di Mario Camerini, "Suor Letizia - Il più grande amore" (quinto Nastro d'argento), "Nella città l'inferno" di Renato
Castellani e "Risate di gioia", commedia tratta da due racconti di Alberto Moravia, dove il regista Mario Monicelli ricrea l'antico duetto con Totò.
È felice, ma, nonostante l'Oscar, la carriera comincia a rallentare. Anna ormai è diventata un'attrice troppo grande e scomoda per il cinema italiano, che sta
diventando sempre più provinciale.
I registi si sentono in soggezione per il suo talento e il suo carattere travolgente.
Perfino Pier Paolo Pasolini, che nel '62 la chiama per "Mamma Roma", teme di essere condizionato dalla sua personalità dirompente.
Anna lavora sempre meno. Passa da momenti di depressa malinconia, in cui si rinchiude nella sua villa al Circeo, rifugio dell'anima e piacere da condividere
solo con gli amici più cari, a momenti in cui tira fuori tutta la sua allegria, organizzando feste e uscite tra amici.
Nel 1965 esce "La pila della Peppa" di Claude Autant-Lara.
Anna più volte disconosce il film: "Dopo aver interpretato La pila della Peppa avevo deciso di abbandonare il cinema.
Per me fare l'attrice è un lavoro faticoso, non è un divertimento, e non riesco, non trovo interesse a recitare senza trarne un minimo di soddisfazione.
Sono cinque anni che mi propongono film e cinque anni che rifiuto. Forse per questo tutti mi fanno la guerra, ma io ho le spalle ben larghe e sopporto tutto (.)
Dei film che ho girato qualcuno non mi piace, ma nessuno mi ha puntato la pistola e quindi è colpa mia.
Comunque la mia ultima pellicola, La pila della Peppa, era così brutta che, per il momento, preferisco fare solo del buon teatro."
Franco Zeffirelli le propone di tornare in teatro con "La Lupa" di Giovanni Verga.
Il ritorno in teatro è per lei molto importante, ma la preoccupa: "Ripensando a tutti questi anni di lavoro nel cinema, mi pare di non essere stata altro che un impiegato
diligente. Ho eseguito, tentato, provato e riprovato, ma sempre sapendo che avevo la possibilità di cavarmela.
Una scena si rifà: una, dieci, cinquanta volte se occorre. Se sbagli una battuta puoi tornare a ripeterla. Se hai la febbre non sei costretto a girare. Ma in teatro
sei esposta, sempre, senza dilazioni, senza scappatoie.
Sai che il pubblico è là, sotto di te, pronto a dilaniarti. In teatro o la va o la spacca. (.) Beh, penso di essere soprattutto un'attrice di teatro.
Io voglio che sulla carta l'idea sia chiara, poterla studiare, sviluppare dentro.
Pasolini c'era quasi riuscito, ma poi non mi ha lasciato sempre lo spazio per dominare il personaggio.
Viene fuori soltanto nelle due carrellate che sento mie: quella allegra e quella tragica in cui monologo e posso dare tutta me stessa. Ma il cinema dà scarse
possibilità per approfondire i personaggi. In teatro invece tu lo costruisci con il pubblico, lo perfezioni veramente il personaggio.
E in più bisogna dire che il cinema è orientato troppo in senso bassamente commerciale, per cui quasi più nessun regista ha il coraggio di buttar fuori
quel che ha veramente dentro. E io ho bisogno di personaggi che nascano da questo sforzo di verità".
Le sue paure scomparvero sul palcoscenico e la sua interpretazione fu un grande successo in Italia e in Europa.
L'ultima occasione di tornare al grande pubblico le viene offerta dalla televisione, verso la quale era stata fino ad allora diffidente.
Nel '70 il regista Alfredo Giannetti le offre una parte in un mini-film ".Correva l'anno di grazia 1870" accanto a Marcello Mastroianni, destinato alla tv
dopo essere passato nelle sale cinematografiche.
L'anno seguente sempre Giannetti la vuole come protagonista per un ciclo di tre mini-film intitolato "Tre donne": "La Sciantosa", "1933 un incontro" e
"L'automobile", che mostrano figure femminili tragicamente forti, dal dopoguerra al boom degli anni '60.
Nel 1972 fa la sua ultima apparizione cinematografica nel cameo fortemente voluto da Federico Fellini per il suo film "Roma".
La sera del 26 settembre 1973 la Rai decide di mandare in onda il primo mini-film girato da Giannetti ".Correva l'anno di grazia 1870", ancora mai trasmesso.
Anna non riuscirà a vederlo.
Quella stessa sera Anna Magnani muore in una clinica romana, circondata dall'affetto del figlio Luca e dell'amico Roberto Rossellini.
Le citazioni biografiche sono tratte da "Nannarella - Ricordo di Anna Magnani", Rai Educational "La storia siamo noi" e "Si è detto tutto sulla Magnani".
Gabriella Foletto
(9 febbraio 2012)
Alcuni diritti riservati
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